
Dalla padella alla brace. È il rischio che corre l’Europa se tenterà di sfuggire ai dazi e alle minacce di Donald Trump tendendo la mano a Xi Jinping. Il perché noi italiani non dovremmo neanche chiedercelo. Il trappolone l’abbiamo già annusato dopo la firma del Memorandum sulla Via della Seta voluta, nel 2019, da Giuseppe Conte e dall’allora vice premier Luigi Di Maio.
Con quella firma l’Italia ha rischiato di esporsi all’arma del debito. Un’arma già usata dalla Cina nel 2017 per acquisire dallo Sri Lanka, incapace di ripagare prestiti da 1,4 miliardi, un porto di Hambantota ceduto in locazione a Pechino per 99 anni.
Sul fronte dei porti il trappolone rischia di funzionare anche con l’Europa. Grazie a investimenti per circa 5,6 miliardi iniziati ai primi del Duemila la Cina controlla il porto greco del Pireo, ha quote di maggioranza negli scali di Bilbao e Valencia e partecipazioni rilevanti in porti come Rotterdam, Anversa, Bruges, Marsiglia e Vado Ligure. Investimenti che sulla carta geografica equivalgono ad un accerchiamento commerciale del Vecchio Continente. Ma il peggio rischia ancora di arrivare. L’esca l’ha buttata il ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante la conferenza di Monaco dello scorso febbraio. Approfittando delle diffidenze europee davanti ai piani di pace per l’Ucraina avanzati da Washington Wang ha proposto a Bruxelles di «ripensare i legami» con Pechino promettendo in cambio la partecipazione europea alle trattative con Kiev e Mosca. La proposta, accolta dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares e da altri esponenti europei, è politicamente contraddittoria, pericolosa dal punto di vista commerciale e industriale e suicida sul piano della Difesa.
A livello politico l’Ue, semil Giornale.it Tutte le notizie e gli aggiornamenti sul nostro sito www.ilgiornale.it pre pronta a redarguire un governo ungherese regolarmente eletto si legherebbe mani e piedi ad una potenza capital-comunista dove non si vota, dove lo stato di diritto è un miraggio e dove la democrazia viene esplicitamente ripudiata. Senza contare che la Cina è oggi la principale acquirente di materie prime russe con un incremento nel 2023 del 32,6% ed è quindi un indiretto finanziatore della guerra in Ucraina. Ma l’idea di abbandonare i mercati statunitensi per affidarsi al Dragone è devastante anche commercialmente e finanziariamente. Una Cina espulsa dal mercato americano a colpi di dazi riverserebbe sull’Europa le sue esportazioni. E porterebbe al tracollo una bilancia commerciale su cui già registriamo un disavanzo da 300 miliardi di euro. Ma il rischio maggiore è quello industriale. La grande illusione dei marchi tedeschi di conquistare un mercato da un miliardo e 300 milioni di individui aprendo stabilimenti in Cina ha mostrato tutti i suoi limiti.
Forte del monopolio sulle materie prime necessarie ad assemblare le batterie i cinesi si sono limitati a copiare brevetti e processi produttivi di Mercedes e Volkswagen, trasferendoli ai propri marchi ed esportandoli in Europa a prezzi dimezzati. Così dal 2020 al 2022, il valore delle importazioni di auto cinesi nell'Ue è cresciuto di 5 volte, raggiungendo i 9,37 miliardi nel 2022 e conquistando il mercato dell’elettrico. Ma in un’Europa disseminata da industrie in crisi il rischio maggiore è quello delle acquisizioni di aziende ad alta tecnologia nel settore aerospaziale, energetico o delle telecomunicazioni. Per quanto la stagnazione post-Covid abbia portato al minimo gli investimenti di Pechino nella Ue - 6,8 miliardi di euro nel 2023 rispetto ai 96 miliardi del 2021 - non bisogna dimenticare (dati Datenna BV del 2020) che gran parte delle acquisizioni di industrie europee fanno capo a società partecipate dal governo di Pechino.
Ma il rischio peggiore lo si registra nel settore della sicurezza.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.