Quello che sembrava l’aereo più pazzo del mondo, col suo carico indesiderato di prezzi elevati, alti tassi d’interesse, guerre e restrizioni commerciali, non si schianterà al suolo. Scampato pericolo, hard landing evitato. Anche se non è ancora arrivato il momento di slacciare le cinture.
«L’economia globale comincia la discesa finale verso un atterraggio morbido, con l’inflazione che diminuisce in modo costante e la crescita che regge. Ma il passo della crescita resta lento e potrebbero arrivare delle turbolenze», prevede Pierre-Olivier Gourinchas, capo economista del Fondo monetario internazionale. L’Fmi ha appena rinfrescato il suo World Economic Outlook, dove l’occhio si posa più benevolo, rispetto alle stime di ottobre, sull’andamento economico del pianeta. Questo scarto positivo, da cui deriva la stima di un +3,1% di aumento del Pil a livello globale (+0,2% rispetto a tre mesi fa) che è lo stesso ritmo di crescita del 2023, è reso possibile dall’inattesa tenuta degli Stati Uniti nonostante le molteplici strette monetarie della Federal Reserve (oggi la decisione sui tassi, destinata a rimanere invariati), dalla resilienza mostrata da alcuni Paesi emergenti e in via di sviluppo e dalle misure fiscali varate dalla Cina per tonificare un’economia che fatica a smaltire i postumi del Covid. Con le crescenti tensioni in Medio Oriente, restano tuttavia le incertezze legate ai prezzi energetici e delle materie prime.
Il mondo sembra comunque ancora incapace di darsi il colpo di reni decisivo. Se verrà centrata la previsione di un +3,2% il prossimo anno, il biennio si chiuderà con tassi di sviluppo sotto la media storica (2000-2019) del 3,8%. A pesare e a impedire quindi un passo più svelto, saranno la fine dei sostegni fiscali, una produttività senza acuti e le politiche restrittive delle banche centrali che avranno ancora un impatto sulle dinamiche congiunturali.
Sulle prossime mosse dei principali istituti di emissione, l’organizzazione di Washington è sostanzialmente allineata col capo della Fed, Jerome Powell, e con la presidente della Bce, Chistine Lagarde. La raccomandazione è infatti quella di non far calare la scure sul costo del denaro troppo presto, ma anche di non rimandare troppo a lungo l’ammorbidimento monetario. «La nostra previsione - spiega Gourinchas - è che la banca centrale Usa comincerà a tagliare i tassi di interesse dalla seconda metà dell’anno». Con un ritardo rispetto alle aspettative dei mercati che peserà sulla crescita (dal 2,5% del ’23 si scenderà al 2,1% di quest’anno e all’1,7% del 2025) anche per effetto della graduale stretta fiscale e di un rallentamento della domanda aggregata sul mercato del lavoro. Il Fondo non vede invece particolarmente roseo il futuro dell’Eurozona, le cui stime per il 2024 sono state ritoccate al ribasso con il Pil visto ora crescere dello 0,9% contro il +1,2% della stima di ottobre. L’espansione dell’Italia sarà sotto la media, con un aumento invariato rispetto a tre mesi prima dello 0,7%.
Del resto, come comunicato ieri da Eurostat, Eurolandia ha evitato per il rotto della cuffia di scivolare l’anno scorso in recessione tecnica grazie a una crescita piatta nell’ultimo trimestre (+0,2% l’Italia secondo l’Istat, e più 0,7% l’anno scorso), dopo aver accusato una contrazione dello 0,1% fra luglio e settembre. Di fatto, viene confermato uno stato di stallo che dura ormai da oltre un anno, la cui causa principale sta nel fiato corto della Germania. Dopo tre trimestri di stagnazione, nel quarto Berlino ha accusato una flessione dello 0,3% contro attese per un più modesto -0,1%.
I 450 punti base di aumenti dei tassi da parte della Bce si stanno facendo sentire, sotto forma di una domanda interna fiacca e in rallentamento unita a investimenti deboli. La speranza è che la torre di controllo di Francoforte non faccia schiantare l’aereo al suolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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