I grandi giochi della finanza stanno riscaldando i palazzi del governo. Sono in corso due guerre finanziarie, nelle quali Palazzo Chigi vuole dire la sua, in perfetto allineamento con ministero del Tesoro guidato da Giancarlo Giorgetti e affiancato dal sottosegretario Federico Freni. Basti raccontare un piccolo aneddoto, che ci permette di entrare subito nella storia. Quando il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, convocò il cda della sua banca per annunciare la scalata ostile su Banco Bpm, si premurò di inviare un generico messaggino (un paio d'ore prima del consiglio) al premier Giorgia Meloni. Palazzo Chigi e il Tesoro a quel punto si scambiarono qualche idea per capire cosa stesse succedendo. Giorgetti aveva già saputo della scalata e lo comunicò alla premier. Che ovviamente non la prese bene. Non aveva a quel punto certo bisogno di parlare con il banchiere per sapere ciò che Giorgetti le aveva già anticipato. Interrotti i colloqui con Unicredit, è subito partito lo studio per predisporre le difese rispetto a un progetto concepito al di fuori delle volontà del governo.
Siamo dunque all'inizio della nostra storia, che cercherò di rendere semplice pur essendo una vicenda complicata e che di fatto riguarda almeno sei istituzioni finanziarie italiane, due banche straniere, la più importante compagnia assicurativa italiana (le Generali) e diversi organismi pubblici.
Le due partite sono quelle che riguardano il futuro di Banco Bpm e delle Generali. La prima è una banca che non ha un vero azionista di controllo (anche se ora le cose stanno cambiando e i francesi del Crédit Agricole, che fino a poco tempo fa avevano mantenuto una partecipazione del 10%, ora possono contare sul 20%) e che lavora nel territorio più ricco d'Italia. La seconda è la più importante compagnia di assicurazione d'Italia (terza in Europa) che gestisce polizze e risparmi, in massima parte degli italiani, per circa 850 miliardi.
La chiave fondamentale di tutta questa vicenda, a sentire Palazzo Chigi, è la difesa del risparmio italiano. Proprio alla fine del governo Renzi, Unicredit vendette alla francese Amundi, controllata da Crédit Agricole, un pezzo fondamentale del risparmio italiano (Pioneer, 225 miliardi di risparmio gestito). E oggi il governo teme che le Generali finiscano straniere o peggio facciano accordi (come quelli che stanno studiando in queste ore) con i francesi che solo a scoppio ritardato mostreranno il loro vero volto: una vendita mascherata.
Per evitare questi rischi, Chigi e Tesoro nei mesi scorsi avevano pensato di formare un gruppo bancario di buone dimensioni, realizzato da Banco Bpm, dalla risanata Mps (in cui lo Stato vanta ancora una quota di rilievo) con la potenziale partecipazione di Anima (società del risparmio gestito su cui Bpm ha lanciato nei mesi scorsi un'Opa amichevole). Sarebbe così nato il terzo polo bancario, con una capitalizzazione non lontana da 25 miliardi: dimensione che avrebbero permesso l'acquisto di una quota anche rilevante di Mediobanca, cioè la chiave di accesso al controllo delle Generali.
In questo scenario piomba l'offerta pubblica di acquisto di Unicredit su Banco Bpm. Che cancella, se dovesse andare a buon fine, non solo la nascita di un nuovo campione nazionale, ma soprattutto il mantenimento in Italia del controllo delle Generali. È per questo che oggi a Palazzo Chigi c'è grande irritazione. Orcel ha paralizzato l'operatività di Banco Bpm, ha bloccato Mps e insieme compromette i piani del governo su Mediobanca e Generali.
Ma la storia non finisce qui. In accordo con Bruxelles, il Tesoro ha recentemente venduto parte della sua quota di Mps a Banco Bpm e a due soggetti privati, gruppo Del Vecchio (guidato da Francesco Milleri) e gruppo Caltagirone, che sono i veri motori della rivolta contro Mediobanca per il controllo delle Generali, di cui sono secondo e terzo azionista. Dunque anche se la nascita del nuovo polo è congelata, esisterebbe un piano B. E al governo lo sanno bene. Nelle prossime settimane infatti vedremo se il governo permetterà a Mps (nonostante al momento sia orfano di Banco Bpm e Anima) di acquistare una quota di Mediobanca, dando così la forza alla formazione Caltagirone-Del Vecchio-Mps di avere l'ultima parola nella società che controlla Generali. Giovedì entreranno in consiglio Mps i rappresentanti dei nuovi soci privati e il 5 febbraio ci saranno i conti: ma già è noto che la banca, un tempo controllata dai comunisti, ha in pancia un buffer di liquidità di 2,5 miliardi. Risorse più che doppie rispetto a quanto serva per comprare sul mercato un 9% della banca fondata da Cuccia e cambiarne così i pesi nella governance.
Come si vede, la storia è assai complicata. Vale perciò un riepilogo. Palazzo Chigi guarda alle Generali in ottica di difesa del rilevante risparmio gestito. Per conquistare Generali occorre controllare Mediobanca. Mps potrebbe essere il pivot con cui farlo. Ed è indifferente, è esattamente questo il termine che si usa da quelle parti, su chi la metta in sicurezza: fino a qualche mese fa potevano essere un gruppo di privati (apprezzati a Chigi) con Mps e Bpm. E se oggi Orcel ha paralizzato Bpm è un pasticcio per il governo, ma non irrimediabile: c'è ancora Mps con Caltagirone-Del Vecchio (insieme possiedono poco meno del 20% dell'istituto senese) che ha le risorse per procedere.
E qui i tempi sono importanti. E al momento giocano a favore di Orcel e dell'attuale assetto delle Generali.
Ci sono due armi che stanno studiando dalle parti del governo. La prima è la Consob, che è autorità indipendente e che farà come le pare. Ma che potrebbe in poche settimane sbloccare l'impasse se obbligasse Unicredit a riformulare in modo più chiaro l'offerta per Banco Bpm e soprattutto se liberasse la banca guidata da Castagna dalla cosiddetta passivity rule, che le impedisce di realizzare la scalata ad Anima rendendosi più complicata da digerire da parte di Unicredit. È questa un'ipotesi in cui a Palazzo Chigi non credono molto, non perché non sia valida tecnicamente, ma semplicemente perché non è nella loro disponibilità. La tentazione - in realtà più che una tentazione - è dunque ricorrere alla cosiddetta Golden power che bloccherebbe l'operazione (ipotesi sul tavolo anche per le Generali). Uno dei profili che si stanno valutando è la presenza di Unicredit in Russia, come è noto sotto sanzioni, ma che genera ancora per la banca di Orcel circa 1 miliardo di margine all'anno e che per questo il banchiere, contro tutto e tutti, non vuole mollare. Orcel è storicamente molto legato a Mosca. Fu lui da capo di Merrill Lynch ad assumere e formare il fratello più giovane Riccardo per piazzarlo a capo del desk emerging market. Il fratello poi diventò per anni il capo europeo della cosiddetta banca di Putin, la russa VtB. E Orcel senior, per dire, appena arrivato in Ubs nel 2012 fece il colpaccio di aggiudicarsi subito un ruolo chiave nel collocamento di un bond perpetuo da 1 miliardo di dollari proprio con Vtb. Si capisce che oggi non voglia mollare l'osso che rende ricchi i suoi azionisti e pesanti le sue azioni che poi userà per comprare Banco Bpm. Ebbene, la sua debolezza russa è un cavallo di troia per il governo. E per l'esercizio di un potere che renda più difficile la scalata di Orcel.
Il governo sa perfettamente che i tempi sono stretti e che non giocano a favore. Sarebbe in un certo imbarazzo nel consentire a Mps, oggi stand alone, a fare un'operazione su Mediobannca, ma la potrebbe giustificare per la messa in sicurezza del risparmio degli italiani che rischia di finire oltreconfine.
Finora nessuno dei nostri attori è stato ricevuto dalla premier. Nessuno di loro riesce a presentare le proprie ragioni.
A Palazzo Chigi hanno un'idea semplice e intendono perseguirla con chi ci sta: non un euro dei risparmi degli italiani può finire all'estero e soprattutto in Francia. E da quel che abbiamo capito in questa complicata storia, a Palazzo Chigi non ritengono Orcel e Philippe Donnet (il capo delle Generali) due araldi del loro sovranismo gestito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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