"Il muro ideologico va abbattuto: ecco perché l'Italia deve investire nel nucleare"

Il rettore dell'Università della Tuscia, Stefano Ubertini, contro il muro ideologico che si oppone al nucleare: "L'Italia è all'avanguardia e non dobbiamo perdere questo vantaggio"

"Il muro ideologico va abbattuto: ecco perché l'Italia deve investire nel nucleare"

Il nucleare sta diventando il Santo Graal dell'energia. Ed è sempre più una realtà che si sta concretizzando. «Siamo lontani dalla commercializzazione - spiega al Giornale il rettore dell'Università degli Studi della Tuscia, Stefano Ubertini - ma non è un sogno». Per rendercene conto per guardare i progetti in corso: ITER in Francia e DTT in Italia. «Noi partecipiamo a entrambi, grazie soprattutto al lavoro del professor Giuseppe Calabrò». E anche l'Università della Tuscia sta costruendo un proprio esperimento. Si chiama TRUST e serve a studiare materiali innovativi per elevati flussi termici.

Rettore Ubertini, la fusione è l'opposto della fissione. Può spiegare all’uomo della strada la differenza?

«La fissione, usata oggi nelle centrali nucleari, consiste nella divisione di atomi di uranio e plutonio, liberando energia ma producendo scorie pericolose. Nella fusione, atomi leggeri come deuterio e trizio si uniscono per generare energia, con scorie molto meno pericolose e in quantità quasi trascurabili. Inoltre, in caso di incidente, il processo si spegnerebbe immediatamente grazie ai campi elettromagnetici controllabili».

Come cambierebbero i sistemi economici con la fusione come fonte principale di energia?

«Anzitutto verrebbero drasticamente ridotte le emissioni inquinanti e climalteranti. E segnerebbe la fine della dipendenza dai combustibili fossili, una svolta anche dal punto di vista geopolitico. Poi c’è il tema del risparmio economico che secondo tutte le proiezioni sarebbe enorme».

Il governo Meloni ha infranto il muro ideologico che sbarrava all’Italia la strada verso il nucleare di nuova generazione. Perché non lo hanno fatto i precedenti governi?

«Il muro ideologico è più forte di quanto si pensi ancora oggi. Il blocco imposto dal referendum negli anni Ottanta del secolo scorso fu un errore grave e molto costoso. Bene che se ne parli e bene fa il governo ad investirci, soprattutto per un Paese con costi energetici elevati e forte dipendenza dall'estero. La ricerca, poi, non dovrebbe mai fermarsi. L'Italia è all'avanguardia in questo settore e non dobbiamo perdere questo vantaggio competitivo».

Il piano del governo prevede mini reattori e fusione per arrivare a emissioni zero e ovviamente sostituire il gas. Quanto ci vorrà?

«I primi mini-reattori potrebbero essere operativi nel giro di cinque anni, mentre per la fusione dovremo aspettare almeno la metà del secolo».

Quali sono i vantaggi dei mini-reattori?

«Hanno sistemi di spegnimento passivi che li rendono più sicuri. Poi sono strutture piccole, che richiedono investimenti ragionevoli e soprattutto sono più flessibili e possono essere installati vicino agli utenti o in zone remote, come isole o aree con una domanda energetica limitata».

Lei si occupa soprattutto di fusione. A che punto è la ricerca?

«Per la tecnologia basata sul confinamento magnetico, ITER e DTT dovrebbero dimostrare la fattibilità entro pochi anni. Il progetto DEMO seguirà, per dimostrare la generazione di energia. Ma esistono anche altri progetti, soprattutto da startup private, su reattori più piccoli e modulari. E progetti altrettanto promettenti su altre tecnologie di fusione, come il confinamento inerziale».

Chi può produrli?

«È presto per dire chi li produrrà, la sfida ora è rendere il processo stabile e commercialmente sostenibile. Oggi è fondamentale la ricerca: la nostra università, come le altre che lavorano in questo settore, stanno formando i protagonisti dello sviluppo di queste tecnologie nei prossimi decenni».

Come può essere sfruttata nella vita di tutti i giorni?

«Beneficeremo di energia a costi più bassi, con emissioni inquinanti e di CO2 quasi azzerate. E potremo produrre idrogeno per i trasporti a costi competitivi».

Avremo solo mini-strutture?

«Vedremo piccole centrali a fissione, e forse anche a fusione, per alimentare interi quartieri, stabilimenti industriali o centri commerciali. Ma ci saranno anche grandi centrali a fusione, che sostituiranno quelle a combustibili fossili, senza il rischio di incidenti catastrofici».

Nel nostro Paese, quando si tratta di costruire, vale la regola del "not in my backyard". Anni di propaganda ecologista hanno spinto gli italiani a ritenere il nucleare pericoloso. Come supereremo queste convinzioni?

«Le nuove generazioni sono più mature da questo punto di vista e sentono molto il problema dei cambiamenti climatici. Se dimostriamo che queste tecnologie generano energia pulita a basso costo, il "not in my backyard" non sarà più un ostacolo».

Lei vivrebbe in una casa accanto a una centrale nucleare?

«Se si trattasse di una centrale a fusione o di un minireattore, con standard di sicurezza avanzati, certamente sì».

Quali sono le condizioni delle centrali che si trovano a pochi chilometri dai nostri confini?

«Non conosco nel dettaglio le loro condizioni ma è vero che vi sono molte centrali nucleari a pochi km

dal nostro confine. Sono sicuramente impianti monitorati e ben manutenuti, ma un incidente avrebbe conseguenze devastanti anche per noi, il che rende paradossale il nostro rifiuto al nucleare: rischiamo senza i benefici».

Il gruppo di ricerca sulla fusione nucleare di Unitus con il settore 4 del Vacuum Vessel di ITER alla Walter Tosto Spa
Il gruppo di ricerca sulla fusione nucleare di Unitus con il settore 4 del Vacuum Vessel di ITER alla Walter Tosto Spa

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