Perché le casse di previdenza sono il nuovo Pnrr

Nonostante il 2025 si annunci con nuvole nere sull'export verso Germania e Francia, per l'Italia può essere l'anno del consolidamento di una piattaforma capace di dare uno slancio non più emergenziale alla nostra economia

Perché le casse di previdenza sono il nuovo Pnrr

Non c'è soltanto la prudente politica di bilancio impostata dal governo dietro la progressiva caduta dello spread, ormai proiettato verso quota 100 e probabilmente ancora più giù. Anche le risorse provenienti dal Pnrr hanno fatto la loro parte, consentendo al Pil italiano di mantenere livelli di crescita non esaltanti, e tuttavia invidiabili se paragonati a quelli di partner in difficoltà come Francia e Germania. Una congiuntura peraltro favorita dalla instabilità di gran parte dei Paesi europei, che contribuisce a far risaltare la fase di relativa stabilità che invece vive il nostro Paese, rendendo più credibile il nostro debito agli occhi degli investitori internazionali. A ciò ha indubbiamente contribuito la grande attenzione che la premier Giorgia Meloni sta dedicando alla politica estera, nell'idea che non ci può essere una credibile politica interna senza una politica estera degna di tale nome. Non a caso la premier, dopo essere stata criticata agli esordi, oggi viene celebrata da giornali insospettabili come l'Economist quale «nuova carta vincente per l'Europa», ormai «ponte tra Bruxelles e la Washington di Trump»; oppure definita «vera protagonista della rinascita mediterranea» e comunque, secondo l'autorevole Politico Europe, «persona più potente d'Europa». Un capitale cresciuto in modo straordinario, capace di produrre dividendi anche robusti a patto che a quei passi ne seguano altri di uguale spessore, che si completino le riforme avviate, che si dia vita a iniziative incentivanti per gli investimenti, che si guardi alle imprese e al mondo agricolo con tutto il rispetto che meritano, infine che vengano mantenute senza più ritardi le promesse di maggiore attenzione verso il ceto medio. In breve, a patto che dopo aver conquistato il mondo di fuori ora si provi a conquistare il mondo di dentro, con una efficace politica interna. Perché non è un mistero che la nascente manovra, mentre presta attenzione ai temi del lavoro e si occupa, per quanto possibile, delle famiglie e dei più deboli, di nuovo penalizza il ceto medio, rinviando il tanto promesso taglio delle tasse, ben sapendo che è proprio da questa fascia della popolazione che proviene la gran parte delle entrate fiscali.

Intendiamoci, sarebbe stato da irresponsabili non imporre uno stop alle scelte dissennate compiute dai governi a Cinque Stelle; il varo di manovre prudenti capaci di far rientrare nei ranghi i nostri conti pubblici era perciò doveroso. E sebbene il debito sia ulteriormente cresciuto - effetto soprattutto di quelle scelte dissennate - non v'è dubbio che l'operazione abbia avuto successo. Lo prova il via libera di Bruxelles, lo prova il percorso in discesa dello spread, lo provano i giudizi incoraggianti delle agenzie di rating e lo provano i non pochi report di grandi banche internazionali che invitano a investire nel nostro Paese.

Dunque, nonostante il 2025 si annunci con nuvole nere sull'export verso Germania e Francia, per l'Italia può essere l'anno del consolidamento di una piattaforma capace di dare uno slancio non più emergenziale alla nostra economia. Insieme ad alcune decine di miliardi in termini di interessi risparmiati che lo spread in caduta può procurare, vanno considerate le non poche risorse residue legate al Pnrr (circa 125 miliardi) a sostegno di nuove infrastrutture: tutto questo per dire che non mancheranno i mezzi per il sospirato taglio dell'Irpef e per implementare la spirale virtuosa degli investimenti che, se ben comunicata in un contesto di riconquistata credibilità, potrebbe finalmente convincere i grandi investitori globali che l'Italia non è più terra da spogliare o da speculazioni mordi e fuggi. Sono anni che battiamo su questi tasti, e chissà che i tempi non siano finalmente maturi.

Ma c'è qualcosa di più che il governo può fare, per dimostrare ai mercati che il primo a credere nell'Azienda Italia è proprio il suo governo. Una modestissima correzione alla norma fiscale che impone alle Casse previdenziali di pagare il 26% sulle rendite finanziarie - magari riducendo la tassa al 20% - potrebbe infatti accendere un formidabile flusso di risparmi italiani verso attività economiche italiane. Sia chiaro, non c'è alcuna nostalgia autarchica in ciò, in finanza non avrebbe senso; semplicemente sconcerta l'idea che dei 114 miliardi affidati da lavoratori italiani alle Casse previdenziali, ben 53 siano investiti in attività estere, quando molti di quei miliardi potrebbero essere impiegati più proficuamente in nuove iniziative imprenditoriali o nei grandi progetti infrastrutturali del Paese. Si stendono tappeti rossi ai grandi fondi internazionali, che sempre hanno orizzonti di breve o, al più, di medio periodo, e si snobbano risorse domestiche che invece prediligono investimenti di lungo periodo. Una scelta oggettivamente non molto intelligente. Per non dire del fatto che, oltre a produrre nuovi posti di lavoro, 1 euro investito in attività interne ne produce almeno 3 a progetto realizzato: con quel che segue in termini di ritorni all'Agenzia delle Entrate, di gran lunga superiori allo sconto che oggi il governo potrebbe concedere.

Solo una nostra suggestione? Tutt'altro. Basterebbe interpellare i direttori generali delle tre principali Casse per avere conferma della loro disponibilità a dirottare una parte rilevante delle proprie risorse verso iniziative imprenditoriali lungo la Penisola, purché il fisco divenga davvero amico verso risparmi che non sono frutto di speculazioni ardite ma rappresentano le pensioni future di una parte degli italiani.

Domenica la premier Meloni chiuderà i lavori di Atreju 2024 e presumibilmente

traccerà il percorso che resta da qui alla fine della legislatura, con probabili riferimenti alle nuove iniziative che il governo intende attuare. Sarebbe davvero interessante ascoltare una sua riflessione anche su questi temi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica