La transizione energetica in Ue alla prova della tempesta d'Ucraina

"Crisi o transizione energetica?", il saggio realizzato da Stefano Fantacone e Demostenes Floros, rispettivamente Direttore e Senior Energy Economist del Centro Europeo di Ricerche, pubblicato per i tipi di Diarkos, spiega gli impatti politici ed economici della guerra in Ucraina sulla corsa al green

La transizione energetica in Ue alla prova della tempesta d'Ucraina

Quali sono i vincoli che la transizione energetica italiana ed europea deve affrontare alla luce della tempesta bellica in Ucraina? Come la sicurezza energetica è tornata ad essere una questione prioritaria, financo di vita o morte, per molte economie del Vecchio Continente? Come mai per così tanti anni l'apatia ha accompagnato la pianificazione europea in campo energetico? E soprattutto, che impatti di lungo periodo avrà il conflitto che ancora sconvolge l'Est Europa? Di questo si occupa Crisi o transizione energetica?, il saggio realizzato da Stefano Fantacone e Demostenes Floros, rispettivamente Direttore e Senior Energy Economist del Centro Europeo di Ricerche, pubblicato per i tipi di Diarkos.

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Fantacone e Floros parlano, in particolar modo, del caso europeo, e non è una scelta azzardata, dato che l'Unione Europea è l'area di mondo che con maggior peso deve sopportare le conseguenze geopolitiche e strategiche della recrudescenza della questione energetica. "In realtà", notano gli autori, "con il crescente ricorso al gas naturale fornito dalla Federazione Russa l'Europa una sua scelta geopolitica l'aveva compiuta, anche se mai del tutto esplicitata. E si trattava di una strategia avente chiari elementi di razionalità", perlomeno nella coerenza tra la narrazione che puntava a una crescente corsa alla transizione energetica da un lato e la scelta concreta di preferire tra le fonti fossili la più efficiente e meno inquinante dall'altro.

Questo ha portato i Paesi europei a pensare che per organizzare i tempi della transizione energetica fosse semplicemente sufficiente garantire le forniture di oro blu da Mosca contando sull'eterno surplus che le forniture russe avrebbero garantito, più economico di preservare una propria capacità produttiva interna. E vincolata alla fase di tassi bassi e denaro facile anche la transizione è stata, in larga misura, sottostimata nei costi.

Questo però si è scontrato con una realtà dei fatti che ha visto l'Europa diventare, nell'epoca della programmazione della transizione, sempre più dipendente dall'esterno. Il consumo di gas naturale è salito nel 2021 a 349 miliardi di metri cubi di gas naturale (+12,6% sul pre-Covid) mentre la quota non coperta da produzioni interne è salita del 13%. Al contempo l'Europa ha visto le materie prime decisive per la transizione prendere la strada, in particolare, della Cina e di altri Paesi capaci di controllarne le catene del valore in forma più sistemica.

A ciò si è aggiunta un'altra questione, che gli autori non mancano di ricordare: i processi di globalizzazione hanno consentito ai Paesi di più antica industrializzazione di accelerare la transizione sul fronte interno scaricando sul resto del mondo i costi dell'inquinamento e di "accrescere il consumo di beni riducendo al contempo le emissioni inquinanti". Molte produzioni sono state spostate verso Paesi con ridotto grado di sviluppo, dove l'aumento delle emissioni è stato un compagno di viaggio della crescita economica. Ora che "anche i grandi produttori asiatici hanno assunto obiettivi di decarbonizzazione delle produzioni si è venuta a creare una concorrenza sulla fornitura di fonti fossili meno inquinanti", prima fra tutte il gas naturale. Nelle fasi di prezzi più alti questo rischia di creare grattacapi all'Europa aggiungendo altri Paesi alla lista dei critici del Vecchio Continente: Pakistan e Thailandia faticano ad assicurarsi dei carichi, mentre il Bangladesh rischia fino a tre anni di interruzioni di corrente.

In quest'ottica, la partita della transizione energetica sarà già nelle intenzioni più "geopolitica" di quanto lo sia stata quella del gas naturale. Price cap, nazionalizzazioni (come quelle avanzate in Francia da Macron), prezzi amministrati, controllo dei capitali, ritorno ai contratti di fornitura a lungo termine sono tutti segni del fatto che il sistema neoliberale è oramai al tramonto anche nel mercato dell'oro blu. Sul fronte della transizione energetica assisteremo a sempre più continue politiche di protezionismo su catene del valore e industria, a nuove dinamiche di gestione delle filiere critiche, a un "sovranismo" di ritorno sulle reti, gli impianti e l'energia prodotta. E soprattutto a un processo più costoso. In cui i Paesi europei saranno, naturalmente, messi in competizione l'uno contro l'altro per rendere la transizione il meno onerosa per i propri cittadini.

Dalle infrastrutture alla gestione della produzione da rinnovabili, passando per la gestione dei dati e della sicurezza, la svolta per economie di scala potrà passare solo per una politica industriale coordinata e scelte comuni capaci di creare economie di scala. L'alternativa è far declinare nel caos la transizione energetica dopo esser già stati travolti dalla "guerra del gas" su scala europea.

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