Joe Biden e Donald Trump, incassata in Michigan l'ennesima vittoria nell'ormai inarrestabile corsa verso le rispettive nomination e il rematch di novembre, devono fare i conti con i segnali preoccupanti emersi nei rispettivi campi. In termini sportivi, si direbbe che più che il risultato, mai stato in discussione, va analizzata la prestazione. Il presidente Usa ha incassato oltre l'81% del voto democratico, laddove il suo unico rivale di peso, il deputato del Minnesota Dean Phillips ha ottenuto il 2,7%. Una percentuale bulgara che non cancella il 13,3% conquistato dai dissidenti della campagna «Listen to Michigan», che sulla scheda elettorale hanno scelto la formula uncommitted, non schierato. Da mesi, attivisti pro palestinesi e figure di spicco del partito, come la deputata Rashida Tlaib, prima donna palestinese-americana al Congresso, avevano annunciato la loro contestazione nello Stato che ha la maggiore presenza di arabo-americani di tutta l'Unione: circa 350mila persone, che hanno in parte saldato il proprio dissenso per l'appoggio di Biden a Israele nella guerra a Gaza con quello dell'elettorato Dem più giovane e progressista. Biden ha tentato fino all'ultimo di recuperare parte di questi voti, annunciando alla vigilia delle primarie la possibilità di un cessate il fuoco «entro lunedì». Ipotesi per ora smentita dalla difficoltà nelle trattative Israele-Hamas. Nel 2020 Biden vinse il Michigan, stato-chiave, con un margine di 150mila voti su Trump. Gli uncommitted che gli hanno voltato le spalle sono oltre 100mila.
Per quanto riguarda il tycoon, quella in Michigan è la quinta vittoria di fila. Trump ha superato il 68%, con un margine di oltre 40 punti sulla sua unica rivale, Nikki Haley, poco oltre il 26%. Un risultato eccellente - «I numeri sono migliori di quelli che ci aspettavamo», ha detto - se non fosse che i sondaggi della vigilia gli assegnavano un margine di oltre 50 punti. A preoccupare il campo trumpiano sono soprattutto due elementi: lo zoccolo duro di elettori repubblicani che rigettano la sua candidatura, assegnando a Haley percentuali che vanno dal 25% al 40%; la composizione del suo elettorato, fatto soprattutto da bianchi, evangelici, con un basso livello di istruzione. Se vuole tornare alla Casa Bianca, Trump deve aggiungere voti moderati e indipendenti alla sua base Maga. Haley, dal canto suo, intende rimanere in corsa almeno fino al Super Tuesday del 5 marzo, quando andranno al voto ben 15 Stati. La sua «resistenza» costringe il tycoon a spendere risorse (sempre più scarse) nelle primarie e gli impedisce di attingere ai fondi del Partito, bloccati fino a quando non ci sarà un candidato unico. Come se non bastasse, un giudice della Corte d'Appello ha stabilito che l'ex presidente deve fornire l'intero importo della cauzione per coprire il verdetto da 454 milioni di dollari nel processo civile per frode a New York. Ma la Corte ha anche revocato il divieto che impediva a Trump di ottenere prestiti da una banca di New York, circostanza che potrà fargli avere i fondi necessari.
I due «grandi vecchi» si sfidano oggi in Texas. Il confine col Messico e l'afflusso di immigrati irregolari è uno dei temi su cui si decideranno le Presidenziali. Un sondaggio Gallup di questa settimana lo indica come priorità degli elettori.
Il presidente, che sta studiando il ricorso a una norma blocca-ingressi già tentata da Trump, ma all'epoca bocciata dai tribunali, sarà a Brownsville, nella Rio Grande Valley. Anche su questo fronte, Biden deve stare attento a non alienarsi il voto progressista.
Trump, che non ha questi problemi, andrà a 500 chilometri di distanza, a Eagle Pass. Entrambi proporranno le loro ricette, impossibili da applicare senza una riforma complessiva del sistema, bloccata dall'ostruzionismo repubblicano al Congresso.
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