Da quasi ventiquattr'ore un fantasma si aggira in casa dem: è proprio Joe Biden. L'uomo di cui tutti vorrebbero liberarsi ma che nessuno ha il coraggio di detronizzare. Non solo per riverenza istituzionale, che costringerebbe a una fine ingloriosa il presidente, ma anche per mero calcolo politico. Andare avanti con un cavallo azzoppato forse è ormai più dignitoso che un cambio in corsa: questa seconda opzione, infatti, equivarrebbe ad ammettere di aver puntato su un brocco negli ultimi cinque anni. La prova provata che il partito democratico non è affidabile.
Delle varie opzioni sul tavolo, nelle ultime ore, si vocifera di un'alternativa che potrebbe mutare le sorti dell'estate pre-elettorale. I democratici saranno chiamati a scegliere il loro candidato in occasione della convention che si aprirà il 19 agosto a Chicago e durerà tre giorni. La convention è il luogo (e il tempo) in cui i partiti politici americani hanno sempre scelto formalmente i loro candidati alla presidenza, ma secondo alcuni osservatori quella che si profila è la possibilità di una "convention aperta", nella quale nulla si può dare per scontato e non necessariamente se ne esce come si è entrati.
Ci sono due fasi per scegliere un candidato presidente: si inizia dalle primarie, la seconda fase è invece la scelta dei delegati. Così le primarie assegnano i delegati che però possono essere nominati anche settimane o talvolta mesi dopo. Biden prova a convincere gli americani della bontà del suo operato e sul suo ottimo stato di salute: "So che non sono giovane, dico una cosa ovvia. Non lavoro più come un tempo, non parlo più fluentemente come un tempo e non so fare più i dibattiti come un tempo, ma so dire la verità. E so come fare questo lavoro", ha detto da Raleigh, in North Carolina, nel primo comizio post dibattito.
Ma i dubbi restano e l'insistenza di Biden nel proporsi come "l'unico che può battere Donald Trump" non farà che amplificare il dramma che sta consumando i dem, dopo la debacle di giovedì. Gli editoriali dei maggiori media liberal Usa sono impietosi: "Joe Biden è un brav'uomo e un buon presidente. Deve abbandonare la corsa", è il titolo dell'editoriale dell'amico Thomas Friedman sul New York Times, che non concede sconti. "L'America ha bisogno di meglio. Il mondo ha bisogno di meglio", scrive. "Novanta minuti di dolore", titola il Washington Post.
Biden al momento possiede circa il 95% dei delegati necessari per vincere la nomination dem. Perché la convention si "apra" il presidente dovrebbe fare un passo indietro e "liberare" i delegati conquistati. Questi uncommitted sarebbero dunque liberi di indirizzare il proprio voto altrove, sebbene i fedelissimi si lascerebbero guidare dalle indicazioni di voto dell'ex nominato in pectore, che con un suo endorsement potrebbe pilotare il voto. Se questo non accadesse si aprirebbe una corsa tra vari candidati, ripristinando il vecchio meccanismo delle primarie democratiche. La procedura è però alquanto barocca e ormai caduta in disuso.
Se innvece Biden si ritirasse dopo la convention di Chicago, il meccanismo sarebbe ben diverso. Il presidente dei dem dovrebbe indicare un candidato alternativo (che non sarebbe automaticamente Kamala Harris). In passato, le convenzioni erano il luogo in cui veniva effettivamente deciso il candidato, in genere, in accordi dietro le quinte tra i mediatori del potere del partito che controllavano i delegati.
L'ideale sarebbe che una convention aperta fosse un luogo equo in cui tutti i contendenti del partito potessero esporre le proprie ragioni, dando vita a un voto equo (o a più turni di votazione) e, alla fine, a un candidato che ottenesse il sostegno della maggioranza e che il partito potesse sostenere con unità.
Ma i delegati del Partito Democratico non possiedono legittimità democratica: sono stati scelti per convalidare la nomina di Biden e non per “votare” un candidato. E non rappresentano veramente l’elettorato. L'unica vera motivazione per lasciarli scegliere il candidato è che è troppo tardi e logisticamente sarebbe complesso rifare il processo delle primarie a livello nazionale.
Un'opzione, questa, molto più democratica che
scegliere a priori e in solitaria un successore prima della convention: una aprocedure che non avrebbe alcun avallo legale e che possiede delle gravissime ripercussioni sulla democrazia del partito.
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