Accogliere o scoraggiare? Un tempo l'Europa non aveva troppi dubbi. L'accoglienza senza limiti era un mantra quasi indiscutibile. Mentre respingimenti, deportazioni e rimpatri restavano improponibili tabù. Ma l'aria è cambiata. E a farcelo capire è il parlamento di Sua Maestà pronto ieri a ri-approvare la legge, già varata a suo tempo dall'esecutivo di Boris Johnson, che prevede la deportazione in Rwanda dei migranti irregolari. Certo il «Safety of Rwanda Bill» - bocciato nella sua precedente versione sia dalla Corte Suprema del Regno Unito che dalla Corte europea dei diritti dell'uomo - non avrà vita facile. Per capirlo bastano i diktat dell'Onu pronto a liquidarla come «aperta violazione della Convenzione del 1951 sui rifugiati firmata dallo stesso Regno Unito». E il fatto che la legge sia stata votata proprio mentre nella Manica annegavano cinque migranti, tra cui un bimbo, ha inevitabilmente fatto da cassa di risonanza alle condanne rilanciate da Ong e associazioni per i diritti umani.
Ma gli strali della sinistra non bastano a smentire il premier inglese Rishi Sunak (nella foto) che parla di «fondamentale cambiamento dell'equazione globale sui migranti». Per quanto contestato il provvedimento s'inserisce, infatti, in una tendenza che sta facendo breccia in tutta Europa. Nel 2022 la legge, confermata ieri dalla Camera dei Comuni, venne proposta non solo da Boris Johnson, ma anche da Mette Fredericksen, l'agguerrita premier socialdemocratica danese fautrice pure lei di un'intesa con il governo di Kigali. E, guarda caso, un altro socialista europeo - il premier albanese Edi Rama - ha proposto a Giorgia Meloni di parcheggiare nel suo paese quote di 3mila migranti irregolari per periodi di 30 giorni. Mentre è di sole due settimane fa il via libera del Parlamento Europeo al nuovo «patto sui migranti» che consentirà di rimandare gli irregolari nei paesi di partenza considerati «sicuri».
Il «Safety of Rwanda Bill» e le proposte di legge danesi sono, evidentemente, molto più drastici e radicali dell'accordo stretto da Giorgia Meloni e Edi Rama. E sono lontanissimi dai principi portanti della bozza votata dall'Europarlamento. Tutti e quattro i provvedimenti si basano però su un requisito comune ovvero sull'idea che la deterrenza sia fondamentale per arginare i flussi migratori. Nei disegni del conservatore Sunak e della socialdemocratica Fredericksen il fattore dissuasivo è la paura del migrante d'intraprendere un viaggio che non lo porterà a Londra o Copenaghen, ma in un paese africano simile, se non peggiore, da quello d'origine quanto a speranze lavorative e rispetto dei diritti umani.
E con incognite simili farà i conti, una volta effettivo l'accordo Italia-Albania, anche chi partirà dalle coste libiche o tunisine. Il migrante pronto a versare migliaia di dollari ai trafficanti dovrà valutare non solo il rischio di un naufragio, ma anche quello di sbarcare non in Italia, ma in Albania. E di venir rispedito al proprio paese d'origine in meno di tre mesi. Eventualità non dissimile da un patto europeo che prevede l'immediata restituzione degli irregolari ad un paese di partenza come la Tunisia considerato «sicuro» dal punto di vista dei diritti umani.
Insomma da Londra a
Bruxelles e da Roma a Copenaghen la nuova parola d'ordine è scoraggiare gli «irregolari». E, per quanto la sinistra finga di non accorgersene, quella parola d'ordine sembra far breccia non solo a destra, ma anche tra le sue fila.
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