
Quando nel 1958 morì Pio XII, Papa Pacelli, il cui silenzio sulla Shoah era stato discusso in lungo e in largo, già lo Stato d'Israele, l'Anti Diffamation League e il World Jewish Congress oltre a molti altre istituzioni ebraiche, approdavano a posizioni dubbiose, meno dure, meno convinte della responsabilità della Chiesa nella tragedia di cui, per altro, oggi in Israele si celebra la memoria in ogni angolo dello Stato. La condanna del Papa si fece meno dura, ma restarono con la memoria il dubbio e la discussione. La responsabilità si connette alla responsabilità storica della Chiesa nelle molteplici persecuzioni antisemite culminate nella Shoah. Tutte hanno intessuto miti di criminalizzazione del popolo ebraico, secondo la teoria antisemita della sostituzione. Per questo Papi grandi e convinti che l'amore per la libertà venga dalla forza della tradizione ebraico cristiana fecondata dalla storia dell'occidente greco, hanno avuto molta cura del rapporto con gli ebrei dello Stato d'Israele. Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI hanno pensato e agito per questo. Papa Bergoglio, con la sua provenienza latino-americana, la sua passione per il tema dell'immigrazione mista a quella degli oppressi ha privilegiato il rapporto col movimento di massa che ha preferito i palestinesi nella schematizzazione corrente. Ha visto i palestinesi come oppressi, Israele come oppressore. Ma era un errore fatale. L'ideologia che poi si è riversata nell'Onu, nelle Ong, nel movimento woke ha creato una potente mitologia demonizzatrice. Ci sono grandi masse che scambiano i diritti umani con l'idea che l'Occidente sia colpevole, che vada vituperato e affossato, in nome di principi superiori. In nome dei poveri. Ma i poveri non sono là: i violenti lo sono. La Chiesa sa che il mondo ebraico, compreso quello israeliano, è oggetto di un attacco violento. E la sua responsabilità storica verso questa minoranza perseguitata è una stella polare anche teologica. Gli ebrei sono comunque «fratelli maggiori», e non hanno «tendenze dominatrici» come ha detto una volta Francesco, né sono sospettabili di «genocidi». Francesco, suggerendolo ha pensato di servire gli oppressi, ma l'oppresso è Israele, su sette fronti diversi, dal 1948.
È bene che il presidente Herzog abbia mandato le sue condoglianze, Israele è una nazione fra le altre, non importa se Hamas ha espresso il suo intenso dolore, Israele sa che la Chiesa non appartiene a quello schieramento, né mai gli apparterrà. Sta con la libertà e la democrazia, come Israele. I cattolici sono fratelli degli ebrei, il Vaticano fratello dello Stato ebraico. È giusto anche che il rabbino capo di Roma camminando le vie della città secondo le regole del Sabato, ritenga doveroso seguire il funerale. È gentile, diplomaticamente consigliabile e sensato. La comunità ebraica che vive a Roma, è profondamente romana. In nessuna parte del mondo, un ebreo avvolgerà Gesù bambino nella mangiatoia in una bandiera con la Stella di David anche se Gesù era ebreo: nessuna appropriazione è legittima. Dovrebbe altrettanto dispiacere la menzogna evidente di un Gesù avvolto nella kefia, niente può essere più falso.
La fratellanza giudaico-cristiana si basa sul valore della libertà.
La prima libertà è quella di difendere la vita: bastava guardare le immagini terribili del 7 ottobre per capire dove stava il bene e dove il male. Il funerale è un saluto, non costa molto dedicarne uno a quel Papa, ormai malato e stanco, sperando nella ripresa, presto, di un dialogo indispensabile. Il rapporto fra ebrei e cristiani prescinde da qualsiasi Papa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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