L’esito delle votazioni presidenziali americane non è mai stato così incerto. Ad alimentare la sensazione che il duello elettorale sarà una lotta all’ultimo voto sono le caratteristiche e le vicende che coinvolgono gli stessi contendenti. Delle gaffe e dei dubbi sulle capacità psicofisiche di Joe Biden si continua a discutere ampiamente e nelle ultime ore la condanna in tribunale del figlio Hunter ha aperto un nuovo pericoloso fronte. Altrettanto chiacchierati sono poi i guai giudiziari di Donald Trump e la sua retorica divisiva che potrebbero costargli la vittoria.
Al di là del risultato che emergerà dall’election day, una parte dell'elettorato liberal comincia però a prendere atto che The Donald abbia già conseguito un importante obiettivo politico condizionando l’agenda di Biden e contribuendo, di fatto, a trumpizzarla. Un risultato che inquieta i simpatizzanti del partito dell’asinello preoccupati da una svolta a destra che sembra attingere dai manuali del tycoon e che difficilmente potrà essere sconfessata nel corso di un eventuale secondo mandato dem.
In particolare, sono immigrazione ed economia i temi sui quali l’attuale capo della Casa Bianca ha compiuto un clamoroso avvicinamento alle posizioni del suo rivale. Ne dà conto il sito di Politico commentando l’ordine esecutivo firmato da Biden a inizio giugno che chiude il confine con il Messico al fine di arginare la fiumana di ingressi irregolari negli States. Si tratta della più draconiana svolta in materia migratoria mai presa da un presidente democratico. Sebbene si tratti di una mossa frutto di calcoli politici, appare evidente che sulla gestione dei migranti Biden abbia abbandonato il suo iniziale approccio compassionevole per abbracciare quello di insospettabile trumpiano.
C’è da precisare che la crisi al confine meridionale aveva acceso forti polemiche tra Washington e gli amministratori locali del partito del presidente, spesso in prima linea nel denunciare le difficoltà nell’accogliere migliaia di immigrati spediti a bordo di bus dal governatore repubblicano del Texas. Se però da un lato l’iniziativa di Potus punta a gettare acqua sul fuoco e riportare il sereno nei rapporti con i sindaci delle cosiddette città santuario, dall’altro rischia di aprire pesanti riflessioni tra i simpatizzanti del partito dell’asinello.
L’altra questione che presenta numerosi punti di contatto tra il presidente e il suo predecessore è la gestione del dossier Cina e della competizione con Pechino. All’inizio del suo mandato Biden proclamava il ritorno dell’America nell’arena internazionale dopo anni di tensioni con i suoi principali partner. Mentre nei confronti degli alleati del G7 la promessa è stata mantenuta, i rapporti con il grande rivale geopolitico degli Stati Uniti hanno continuato invece a seguire il solco lasciato da The Donald.
La gran parte dei dazi approvati da Trump sono stati confermati dal suo successore. Anche qui ci sarebbero strategie politiche in vista delle imminenti elezioni volte a scongiurare la perdita di Stati in bilico come il Wisconsin e la Pennsylvania. Addirittura, un gruppo di senatori del Midwest starebbe premendo sulla Casa Bianca per aumentare le tariffe commerciali sull’import dalla Cina e Biden stesso ha annunciato di voler innalzare le barriere, tra le altre, sulle automobili elettriche e sui semiconduttori.
Rilevate le convergenze tra il vecchio Joe e Trump, non sarà facile per gli elettori Usa decidere a chi affidare la guida della prima potenza mondiale nei prossimi quattro anni. Tra il confronto con la Cina e il controllo delle frontiere meridionali è comunque quest’ultimo il tema destinato a rivelarsi decisivo. I sondaggi mostrano infatti come per gli americani l’immigrazione sia la priorità numero uno.
A questo punto il timore in casa dem è che, per arrestare il flusso di immigrati alla frontiera, indecisi ed indipendenti possano preferire il piano più aggressivo del miliardario invece di optare per una sua copia annacquata.
Anche se trionferà Biden bisogna poi tenere in considerazione che si potrebbe trattare di una vittoria di Pirro con un secondo mandato e un intero partito "contagiati" dall'influenza di Trump. Insomma, il 5 novembre potremmo ritrovarci ad assistere ad una vittoria del tycoon anche in caso di una sua sconfitta formale alle urne.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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