"Mettono a rischio la stabilità mediorientale": nuove critiche di Israele agli Usa

Polemiche nello Stato ebraico per la strategia Usa incentrata sulla rivelazione di informazioni riservate relative alle mosse di Israele e dell'Iran in Medio Oriente

"Mettono a rischio la stabilità mediorientale": nuove critiche di Israele agli Usa
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Nuove tensioni nei rapporti tra Washington e Tel Aviv. Come se non bastassero i malumori suscitati in Israele dalla notizia del possibile sanzionamento da parte degli Stati Uniti del battaglione Netzah Yehuda dell'Idf, arriva oggi dalle pagine del Jerusalem Post una nuova pesante critica all’amministrazione democratica guidata dal presidente Joe Biden. “Mette in pericolo la stabilità regionale”, questa l’accusa all’America messa nera su bianco dal giornale israeliano che si è scagliato contro lo storico alleato per via della sua politica di estrema trasparenza sugli sviluppi in Medio Oriente della decennale guerra sempre meno nell'ombra tra lo Stato ebraico e l'Iran.

Israele ha sempre risposto ai progetti ostili di Teheran autorizzando operazioni militari, mai riconosciute ufficialmente, nei Paesi terzi dove agiscono indisturbati i sostenitori dei pasdaran. Una politica riassunta con il detto “occhio per occhio, dente per dente” che, secondo l’influente quotidiano, sarebbe messa in crisi dalle frequenti fughe di notizie originate da fonti diplomatiche e di sicurezza Usa.

Le indiscrezioni sulle mosse e sugli obiettivi militari dello Stato ebraico, nonché sulla controreazione del regime degli ayatollah culminata nel recente attacco senza precedenti contro il territorio israeliano, sono approdate su media come il Wall Street Journal, Cbs ed Abc e, lungi dall’aiutare Tel Aviv, per il Jerusalem Post contribuirebbero a generare “ansia, pressioni e caos”. In particolare non sarebbe stata gradita la conferma da parte del Pentagono della paternità israeliana del raid del primo aprile al consolato iraniano di Damasco nel corso del quale sono state eliminate figure di rilievo dei Guardiani della rivoluzione.

Per il premier Benjamin Netanyahu un’indiscriminata pubblicazione di informazioni sensibili in un contesto “volatile” potrebbe produrre più danni che benefici. E Bibi potrebbe non essere l’unico tra gli alleati di Washington ad aver sollevato perplessità sulle iniziative degli States. D'altra parte la linea americana in questione non è affatto inedita. È conosciuta come “dottrina Blinken” dal nome dell’attuale segretario di Stato Usa che più di tutti nella squadra del presidente Biden ritiene funzionale al raggiungimento di obiettivi di politica estera il rivelare in determinate circostanze dati classificati.

Tale strategia è stata vista all’opera nei mesi precedenti allo scoppio della guerra in Ucraina quando la Casa Bianca ha deciso di far trapelare informazioni riservate sui piani segreti di Mosca contro Kiev. Pur non essendo riuscita ad impedire l’invasione russa, la pubblicazione dei report dell’intelligence americana ha sottratto al Cremlino il vantaggio dell’effetto sorpresa permettendo al governo di Zelensky di resistere ad un’operazione che nei progetti originali di Putin doveva concludersi in pochi giorni.

Se però nell’Europa orientale la “diplomazia pubblica” di Biden è stata approvata dai suoi partner, in Medio Oriente, come abbiamo visto nelle ultime ore, essa non starebbe riscuotendo lo stesso successo.

Con l’ulteriore aggravante che l'impegno degli Stati Uniti volto a disinnescare un conflitto regionale potrebbe fornire ai nemici di Israele informazioni preziose necessarie per organizzare rappresaglie in grado di superare le previsioni degli 007 occidentali. Un incubo strategico che lo Stato ebraico non può permettersi di affrontare.

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