Il pericolo armi chimiche. Cosa può succedere nella Siria post Assad

La caduta del regime siriano riporta l'attenzione delle intelligence occidentali sull'arsenale chimico di Damasco

Il pericolo armi chimiche. Cosa può succedere nella Siria post Assad
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Tutto è cambiato in una notte e ora che il regime siriano è caduto, come il fantasma del Natale passato, torna a riaffacciarsi lo spettro di un incubo mai davvero superato: quello del possibile impiego di armi chimiche nel Paese martoriato da una guerra civile cominciata nel 2011. Agenzie di intelligence americane e israeliane seguono infatti con attenzione l’evoluzione degli eventi a Damasco per intercettare segnali che potrebbero portare ad un epilogo ancora più drammatico della crisi in atto in Siria.

Nonostante già nella notte si siano diffuse le notizie del tracollo e della fuga di Bashar al-Assad, il sito del New York Times continua a riportare con grande evidenza le indiscrezioni rilasciate da ufficiali anonimi secondo i quali gli 007 statunitensi starebbero monitorando in queste ore i siti di stoccaggio delle armi chimiche in territorio siriano temendo che l’esercito lealista possa adoperarle contro la coalizione eterogenea di ribelli che in appena 11 giorni ha dato la spallata finale al regime.

Gli Stati Uniti e diverse organizzazioni umanitarie hanno confermato il ricorso fatto in passato dall’esercito di Assad a tali tipi di armi sia contro la sua stessa popolazione che contro gli insorti. Nell’agosto 2013 il regime ha attaccato Ghouta, la regione ad est di Damasco controllata dai ribelli, con razzi terra-terra contenenti gas Sarin, facendo centinaia di morti.

L’allora presidente Barack Obama, che non diede seguito alle conseguenze previste dalla violazione della famosa “linea rossa” da lui enunciata per scongiurare iniziative spericolate del dittatore, firmò un’intesa con la Russia evitando l’intervento diretto nel Paese mediorientale. In base all’accordo siglato il regime ammise di possedere un arsenale chimico e accettò la sua eliminazione.

Sebbene l’Organizzazione per la proibizione della armi chimiche (Opac) abbia annunciato nel 2015 la distruzione del 99% delle armi di Assad, il dubbio che Damasco non abbia dichiarato tutto il materiale in suo possesso è rimasto. In seguito, infatti, sono stati denunciati altri attacchi con gas cloro e nell’aprile 2017 l’amministrazione Trump ha colpito la base siriana da cui sono partiti dei bombardamenti con armi chimiche contro la roccaforte dei ribelli a Idlib.

Secondo il New York Times, non è chiaro se le agenzie di intelligence sarebbero in grado di avvertire in anticipo la Casa Bianca dell’imminente impiego di armi chimiche da parte dei lealisti. Poco prima dell’attacco del 2013 le spie americane intercettarono dei messaggi in codice inviati a unità speciali dell’esercito siriano ma non le tradussero in tempo e, clamorosamente, l’amministrazione Obama scoprì quanto stava avvenendo in Siria solo dopo l’inizio del raid.

Non è solo l’America a tenere d’occhio l’arsenale di Assad. Nei giorni scorsi i quotidiani israeliani hanno rivelato come l’intelligence dello Stato ebraico stia prendendo sul serio la possibilità che i ribelli islamisti mettano le mani sulle armi chimiche di Damasco. L'Idf avrebbe già colpito una fabbrica di produzione delle armi in territorio siriano e avrebbe posizionato forze al confine col Paese. In un comunicato rilasciato dall'esercito di Tel Aviv si legge che il rafforzamento militare "permetterà la difesa nell'area e la preparazione per vari scenari".

Intanto, stando a quanto riportato dalla Cnn, i ribelli hanno già richiesto l'aiuto delle organizzazioni internazionali per "investigare i programmi e gli arsenali di distruzione di massa del regime criminale di Assad".

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