Il ponte transatlantico

Vuol dire che, per questo, quanti per tutta la vita hanno considerato gli Stati Uniti un riferimento imprescindibile, debbano abiurare come fecero i comunisti nei confronti dell'Urss quando cadde il muro?

Il ponte transatlantico
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Il ponte transatlantico è crollato, perché uno dei due pilastri è venuto meno. Non ammetterlo equivale a rifiutarsi di guardare in faccia la realtà. Ma riconoscere quanto sta accadendo davanti ai nostri occhi, significa liquidare oltre cento anni di storia? Vuol dire che, per questo, quanti per tutta la vita hanno considerato gli Stati Uniti un riferimento imprescindibile, debbano abiurare come fecero i comunisti nei confronti dell'Urss quando cadde il muro? Le cose sono più complesse e, per rendersene conto, basta considerare quel che sta accadendo in Gran Bretagna e Francia, le uniche potenze del Continente presenti nel club nucleare.

In Inghilterra è al potere Keir Starmer, un laburista lontanissimo sul piano ideologico da Trump e anche lui vittima, a più riprese, del bullismo verbale dei trumpiani. Non ha, per questo, perso la calma. Ha affermato a chiare lettere che la special relationship tra America e Inghilterra non è in nessun caso in discussione. Quindi, si è recato a Washington con una lettera del Re che Trump ha aperto in favore di telecamere. Subito dopo, si è affrettato ad abbracciare Zelensky. Invitando, poi, le potenze europee a Londra, ha implicitamente fatto intendere che la sicurezza dell'Ucraina

sarà garantita, se necessario anche attraverso l'invio di soldati sul terreno. Ha compiuto, così, una spettacolare inversione rispetto al tempo della Brexit. E ciò senza

dover sconfessare apertamente la scelta che il Paese ha compiuto con il referendum consultivo del 2016. Starmer, per questa politica, sta correndo un rischio, perché i sondaggi dicono che i Labour si trovano pressappoco appaiati a conservatori e Reform Uk, il partito di Nigel Farage. E che quest'ultimo, per le sue posizioni «pacifiste» e filorusse, potrebbe avvantaggiarsi. Chi, invece, non ha nulla da perdere è il Presidente francese Macron. Le ultime elezioni legislative lo hanno messo con le spalle al muro, trasformandolo nell'ispiratore di governi deboli che, per stare in piedi, debbono garantire innanzitutto di non incidere. Egli, però, sta provando a uscire dall'angolo. Rivolgendosi direttamente ai francesi, ha ricordato loro quale pericolo rappresenti la Russia per la Francia. Il Generale de Gaulle, d'altro canto, soleva ripetere che non si può stare sicuri con l'Armata rossa a tre tappe di tour de France da Parigi. Ha evidenziato, poi, come senza più gli americani sia inevitabile un'iniziativa politico-militare europea. Per infine ricordare ai membri dell'Unione che

la Francia, tra tutti, è l'unica a possedere armi nucleari che potrebbero fare da ombrello per l'intero continente. Ha declinato, così, la proposta di un «sovranismo europeo» ad egemonia francese; proposta che se prenderà quota potrà anche rilanciarlo nella partita interna dalla quale oggi sembra ai margini.

Se provassimo ad allargare il discorso alla Germania, la direzione di fondo del discorso non cambierebbe. Anche lì, attraverso inediti piani di riarmo e decisioni epocali sul debito interno, ci si sta attrezzando al duro compito di trasformarsi da alleati in partner autonomi della potenza americana.

D'altro canto, anche quanti non amano l'attuale amministrazione Trump e detestano il modo di comportarsi dei trumpiani, sanno che negli Stati Uniti qualcosa potrebbe cambiare già tra due anni, con le elezioni di Midterm. Mentre possono esser certi che in Cina - il convitato di pietra di tutta questa vicenda - al potere ci sarà ancora e sempre il Partito comunista.

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