Dopo la batosta elettorale alle elezioni europee, il presidente Macron ha sciolto l'Assemblea nazionale e convocato nuove elezioni. La sua iniziativa continua a dividere l'opinione pubblica, il mondo politico, i commentatori. Per alcuni si tratta di una mossa geniale; per altri l'azzardo di un incosciente. La si può pensare in modo diverso ma bisogna evitare di parlare della Francia come se stessimo in Italia: conoscere per giudicare. E, in questo caso, per giudicare è necessario sapere come funzionano le istituzioni della V Repubblica.
Il semipresidenzialismo francese è un sistema spurio: presidenziale e parlamentare al tempo stesso. Il presidente, eletto dal popolo, ha grandi poteri. Il presidente del Consiglio, però, non dipende solo da lui: per governare deve avere la fiducia del Parlamento. Quando fu ideato, in tanti pensarono che non avrebbe funzionato. I fatti, però, hanno smentito le Cassandre. Per la V Repubblica, ancor oggi, vale il paradosso del calabrone: vola, anche se non ve ne sarebbero le condizioni fisiche.
In Francia l'elezione che veramente conta e scandisce il ritmo della vita politica è quella presidenziale. La circostanza aiuta a comprendere le ragioni di Macron. Ha certamente fatto un azzardo. Ma aveva un'altra scelta? Se fosse rimasto immobile, tra tre anni, quando si voterà di nuovo per il presidente, sarebbe giunto all'appuntamento fatale come il pesce di Hemingway in Il vecchio e il mare: spolpato.
La versione originale della V Repubblica, però, prevedeva per il presidente la durata di sette anni, mentre per la legislatura parlamentare solo di cinque. Lo volle De Gaulle, monarca repubblicano, per distinguere il ruolo di chi regna da quello di chi governa. Le cose procedettero bene fin quando, nel 1986, sotto il regno di Mitterrand, maggioranza presidenziale e parlamentare si diversificarono. A nulla servirono allora i manifesti che ricoprirono i muri di Francia: «Aiuto, la destra ritorna!». La destra, in effetti, tornò e si inaugurò la stagione delle «coabitazioni».
Allora un politologo, Maurice Duverger, scrisse un «breviario della coabitazione». Intendeva spiegare a Mitterrand, del quale era amico, come utilizzare i suoi poteri per fronteggiare e surclassare una maggioranza di segno diverso.
Da quel giorno sono stati diversi i presidenti che hanno sciolto il Parlamento. Ad alcuni è andata bene, ad altri meno. Una regola, però, fino ad oggi, non è stata smentita: quando presidente e primo ministro entrano in competizione, a rimetterci le penne, infine, è sempre il secondo. Proprio per evitare il ripetersi di un duello dall'esito scontato, d'altro canto, a partire dalle elezioni del 2002, la durata in carica del presidente è stata ridotta a cinque anni. Con la coincidenza dei mandati presidenziale e parlamentare si sono volute scongiurare nuove coabitazioni. Il sistema, così, si è «presidenzializzato», divenendo un po' più simile a quello americano.
Si può, a questo punto, comprendere il bivio di fronte al quale Macron oggi si trova. Per scongiurare una vittoria del partito della Le Pen alle imminenti elezioni legislative, prova a resuscitare l'antica «disciplina repubblicana». Non è detto che ci riesca. Il fatto che alcuni gollisti non si siano fatti scrupoli ad allearsi con «i lepenisti», non costituisce, in tal senso, un bel segnale. In caso dovesse fallire, e dalle urne uscire un risultato inequivoco, accetterà la coabitazione. Metterà i suoi avversari alla prova del governo, provando a logorarli così come hanno fatto i suoi predecessori.
Va considerata, però, un'importante differenza. Se tale scenario dovesse concretizzarsi, Macron avrà vanificato le ragioni del «quinquennato». Il presidente, per questo, sarà più debole e prevalere potrebbe risultare meno scontato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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