È ancora presto per dire chi vincerà le elezioni Presidenziali negli Stati Uniti, che si terranno a inizio novembre. Tuttavia, dato che ormai è chiaro che assisteremo ad una riproposizione dello scontro del 2020 tra Joe Biden e Donald Trump (anche se a parti inverse, con il primo nella parte del presidente in carica e non più dello sfidante), è possibile cominciare a ipotizzare alcuni scenari alternativi. Riprendendo il vecchio slogan coniato da Bill Clinton ma sempre attuale «It's the economy, stupid!», proviamo a tracciare alcune ipotesi sull'agenda economica che i due candidati potrebbero mettere in atto se dovessero ottenere la permanenza alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni. Gli elettori americani a differenza degli europei sono in effetti preoccupati in questo momento soprattutto dai timori della interruzione della crescita economica, considerata in parte drogata dai sussidi pubblici e da una Borsa inaspettatamente esuberante, dalla sicurezza nelle grandi città, dai flussi dei migranti clandestini che attraversano la frontiera meridionale e dai contrasti ideologici quali la libertà per l'interruzioje di gravidanza, dallo scontro oramai epocale tra le posizioni liberali dei woke people della cancel culture e delle posizioni esasperate del politically correct e dei timori ambientalisti e quelle invece tradizionali conservatrici su questi stessi temi che fa evocare a molti lo spettro di una guerra civile all'indomani di una vittoria probabilmente molto contenuta di uno dei due candidati e addirittura di una spartizione del paese tra Stati liberali e Stati conservatori.
Diciamo subito che da Biden, nel caso di una sua riconferma, potremmo aspettarci «more of the same», ovvero una sostanziale continuazione delle politiche economiche messe in atto durante questo mandato. Del resto, gli Stati Uniti stanno viaggiando a gonfie vele e la stretta monetaria attuata dalla Federal Reserve per contrastare l'inflazione non sembra aver scalfito la forza dell'economia, che nel 2023 è cresciuta del 3,4% con una disoccupazione che si mantiene ai minimi storici. Una crescita che è rimasta molto sostenuta ma che è stata ottenuta al prezzo di politiche fiscali estremamente espansive
(pensiamo ad esempio ad un provvedimento costoso come l'Inflation Reduction Act) che hanno portato ad un allargamento del deficit e a un indebitamento più pesante. Ma l'agenda democratica è anche più vicina alle istanze sociali, e quindi è possibile che in termini di tassazione ci saranno degli aumenti nei confronti delle imprese e dei grandi patrimoni con la finalità di ridurre le disuguaglianze (che sono uno dei principali problemi degli Stati Uniti odierni).
Che dire, invece, di Donald Trump (nella foto)? Stando agli annunci effettuati fino ad ora, una eventuale vittoria repubblicana di Donald Trump potrebbe portare invece ad una riduzione delle tasse e all'innalzamento di nuove barriere commerciali, soprattutto nei confronti della Cina (Trump propone infatti di imporre un dazio del 60% su tutte le importazioni cinesi) ma anche verso gli alleati europei, allo scopo di riportare investimenti e capitali Usa in patria anche con l'adozione di ulteriori misure «buy American». Anche in questo caso verrebbe dunque da dire «more of the same», all'insegna dell'approccio puramente transazionale e mercantilista di Trump che non conosce «amici» in economia ma solamente «avversari» in una competizione che può essere vinta solo a discapito degli altri concorrenti.
Quale sarebbe l'impatto di queste «ricette» di politica economica su noi europei? Una riconferma di Biden sarebbe senz'altro meno traumatica, anche se dal punto di vista delle misure commerciali e della volontà di favorire le aziende statunitensi non si registra una differenza così radicale rispetto a quanto propone Trump. Una vittoria di quest'ultimo sarebbe molto probabilmente foriera di una maggiore frammentazione economica globale, ma potrebbe suonare come una «sveglia» per l'Ue che sarebbe costretta a fare di più per salvare le proprie industrie, messe sempre più a dura prova dalle sfide imposte dalla transizione energetica e dalla concorrenza non sempre leale di attori come la Cina.
E per l'Italia? Il nostro eccezionale surplus commerciale con gli Usa (oltre 40 miliardi di euro) potrebbe essere penalizzato da nuovi dazi imposti da Trump; spetterebbe a Giorgia Meloni il compito non facile (con un politico imprevedibile come The Donald) di fare leva sulla maggiore affinità ideologica per conservare condizioni più favorevoli per i prodotti made in Italy.
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