
L'amministrazione Trump, oltre a bombardare l'equilibrio geopolitico che ha tenuto in piedi il mondo nel secondo dopoguerra, ha anche portato la volubilità al potere. Dopo aver tubato per mesi con il collega russo Vladimir Putin, ieri il presidente Usa ha fatto una piroetta e nel corso di un'intervista alla Nbc si è detto «molto arrabbiato» e addirittura «incavolato» perché Putin ha paventato un governo di transizione per l'Ucraina. «Se io e la Russia non dovessimo riuscire a raggiungere un accordo per fermare lo spargimento di sangue in Ucraina - ammonisce il tycoon - e se dovessi pensare che è colpa della Russia allora applicherò tariffe secondarie sul loro petrolio». Trump ha specificato che tali dazi potrebbero scattare entro un mese nel caso in questo lasso di tempo non venga raggiunto un accordo sul cessate il fuoco e potrebbero arrivare al 25 per cento e riguardare anche altri prodotti russi venduti negli Stati Uniti. Nel suo stile ricattatorio, Trump si è detto sicuro che Putin sia consapevole della sua insoddisfazione e della necessità di «fare la cosa giusta» per farla rientrare. Trump ha assicurato che avrà un colloquio con il suo omologo russo in settimana.
Alla fine siamo sempre lì, alla minaccia dei dazi, arma letale di Trump agitata contro chiunque si metta di traverso ai suoi progetti di riscrivere con la sua calligrafia l'agenda internazionale. Trump ha ieri confermato che non ci saranno ritardi rispetto a mercoledì 2 aprile, il cosiddetto «giorno della liberazione», la data prevista per l'introduzione dei balzelli alla dogana. L'inquilino con il ciuffo della Casa Bianca lascia aperto uno spiraglio solo per quei Paesi che «siano disposti a darci qualcosa di grande, altrimenti non c'è spazio per negoziare». E che le controparti degli Stati Uniti abbiano capito l'antifona lo diostrano le parole di uno dei leader più lontani ideologicamente da Trump, il presidente del Brasile Lula: «Prima di ricorrere all'imposizione di dazi reciproci o di fare ricorso all'Organizzazione mondiale del Commercio bisogna percorrere tutte le strade possibili per mantenere il libero commercio con gli Stati Uniti», anche se «gli Usa devono capire che non sono soli sul pianeta terra e che se insistono nell'intraprendere misure unilaterali non credo che sarà una buona decisione per loro». Ieri si sono conclusi anche i negoziati tra delegati statunitensi e indiani a Delhi, che non sono giunti a risultati apprezzabili, per la delusione dei rappresentanti del governo Modi.
Sempre a proposito di dazi, Trump alla Nbc ha anche detto di non essere minimamente preoccupato nel caso le case automobilistiche straniere dovessero alzare i prezzi delle vetture. Anzi: «Spero che li aumentino perché se lo fanno la gente compra auto americane, ne abbiamo in abbondanza».
Un altro fronte della guerra di Trump al mondo intero è quello rovente con l'Iran. Ieri The Donald ha minacciato «bombardamenti» e «dazi secondari» contro Teheran se questo Paese non si sottomettesse al diktat di Washington di non sviluppare il proprio arsenale nucleare. «Se non stringono un accordo - ha detto Trump sempre alla Nbc - ci saranno bombardamenti come non ne hanno mai visti prima». La risposta dell'Iran non si è fatta attendere. Il presidente Massoud Pezeshkian ha ribadito il rifiuto di negoziati con l'amministrazione Trump. «Abbiamo risposto alla lettera del presidente degli Stati Uniti attraverso l'Oman - ha precisato Pezeshkian - e rifiutato l'opzione di colloqui diretti, ma siamo aperti a negoziati indiretti», a patto che gli Stati Uniti correggane la loro «postura scorretta» e creino una nuova base di fiducia presso il governo di Teheran.
È in fiducia Trump, come quei giocatori convinti di non poter perdere. E lo si capisce anche da come ieri, sempre alla Nbc, abbia anche aperto all'ipotesi di un terzo mandato alla Casa Bianca, convinto di poter bypassare il 22° emendamento della Costituzione, che vieta il «triplete».
«Molte persone mi chiedono di farlo. Ed esistono molti metodi per farlo», assicura. Come quello di far eleggere JD Vance e poi prenderne il posto. Anche se questo volesse dire lasciare la Casa Bianca nel gennaio del 2033, a 86 anni e mezzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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