Chi è Tim Scott, il repubblicano anti-Obama che sfida Donald Trump

Il senatore afroamericano della South Carolina, candidato alla presidenza, si appella all'elettorato repubblicano delle origini, quello dell'abolizionismo. E lo fa usando degli importanti riferimenti storici

Chi è Tim Scott, il repubblicano anti-Obama che sfida Donald Trump

La candidatura del senatore della South Carolina Tim Scott, se analizzata con le lenti della cronaca politica, rischia di apparire ben poca cosa. Unico rappresentante repubblicano afroamericano nel Senato, i suoi numeri bassi nei sondaggi, abbinati a una scarsa mediaticità e una ancor minore vis da polemista culturale, il destino di questa sua corsa appare segnato. Probabilmente, come notato anche dall’ex presidente Donald Trump, causerà una perdita di consensi per Ron DeSantis, il governatore della Florida che nell’inner circle trumpiano è visto come il nemico principale da abbattere. Non possiamo però limitarci ai freddi dati e all’eleggibilità di Scott.

Questa candidatura è significativa per varie ragioni: perché ricorda ai repubblicani che partito possono ancora essere. Una formazione politica indubbiamente conservatrice che crede nella difesa della vita contro l’aborto, nella libertà d’impresa e nella libera scelta delle scuole, leggibile come un sostegno alle famiglie che scelgono di inviare i figli negli istituti privati di matrice religiosa. Non solo: anche su aspetti più ruvidi come il possesso d’armi l’opinione di Scott è che debba essere il più facile possibile, come la lettura costituzionale prevalente vuole. C’è un però: il moderno Partito Repubblicano trae gran parte della sua forza politica dalla sua graduale fusione con le forze conservatrici presenti nel Partito Democratico e largamente diffuse nel Profondo Sud, quegli ex segregazionisti delusi dalla svolta ritenuta eccessivamente liberal del partito nazionale, un unione di forze che è stata il prodotto della cosiddetta “Strategia Sudista” lanciata dal presidente Richard Nixon a fine anni Sessanta per rafforzare il Partito Repubblicano in quelle zone dov’era visto come “il partito di Abraham Lincoln”. Quindi difficilmente digeribile dall’elettorato bianco che coltivava una memoria idealizzata delle vicende della guerra civile americana, tenendo in gran conto la memoria dell’esperienza confederata. La candidatura di Scott ribalta questo assunto: lo scorso 12 aprile ha lanciato la sua candidatura da Fort Sumter, davanti alla baia di Charleston, il luogo da dove iniziò la guerra civile.

Quel forte, controllato dall’esercito statunitense, venne attaccato quel giorno dall’artiglieria sudista per prenderne forzatamente il controllo. Nel suo spot girato sul luogo Scott ricorda che in quel momento “l’America venne messa alla prova”, ma “riuscimmo a prevalere”, afferma Scott. Una reminiscenza che, sia pur difficile da cogliere per chi non è molto preparato sulla storia americana ottocentesca, ricorda che il Partito Repubblicano può ancora essere una forza di progresso come lo era stata allora. Lo slogan di allora era “Free soil, free labor, free men”. Analizziamolo punto per punto: se allora il “free soil” rappresentava la possibilità di potersi espandere liberamente verso Ovest prendendo possesso delle terre inesplorate e appartenenti ai nativi, oggi rappresenta l’espansione della propria conoscenza e la possibilità di uscire dal contesto di povertà sociale da cui si proviene, come nel caso di Scott, figlio di madre divorziata che doveva lavorare sedici ore al giorno per mantenere il figlio.

Free labor” invece si rispecchia nella libertà di impresa, da svolgersi sotto una mano regolatoria leggera, senza che il governo federale ci metta becca. Nemmeno quando, nel caso della Florida di Ron DeSantis, impedisce agli imprenditori di chiedere ai propri dipendenti certificati vaccinali o di usare una mascherina. Nel caso degli uomini liberi, invece, il riferimento è più sottile ed è quello che spiega la presenza al lancio della candidatura del senatore John Thune, numero due del gruppo repubblicano al Senato e fedelissimo del leader Mitch McConnell. L'Elefantino è la casa politica di chi non crede agli uomini della Provvidenza, che ha saputo criticare pesantemente il suo primo presidente Abraham Lincoln e che ha sempre ospitato al proprio interno una vasta gamma di correnti di pensiero, dai conservatori ai moderati passando per i libertari.

Una formazione politica, dunque, che si deve liberare dal giogo di Donald Trump e guardare oltre, a un futuro dove i principi conteranno più delle persone. Un messaggio potente che, seppur ininfluente dal punto di vista immediato, fornisce le basi su cui ricostruire. Un percorso difficile, come quello che portò gli stati confederati all’interno dell’unione, ma può rendere il conservatorismo rifondato sempre più appetibile anche per una crescente fetta dell’elettorato afroamericano, erede degli insegnamenti di Booker T.

Washington, fondatore del Tuskegee College in Alabama e grande amico personale di un altro repubblicano, il presidente Theodore Roosevelt, che credeva che la comunità nera avrebbe sconfitto il razzismo attraverso il successo economico dei propri esponenti. Stesso obiettivo di Scott e della nuova generazione di conservatori neri.

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