Continua la crociata contro il protocollo Italia-Albania. Questa volta ad essere presi di mira sono i medici: le principali ong che prestano soccorso in mare hanno messo a punto un appello per sabotare la categoria e in particolare coloro che operano in collaborazione con il governo e cioè Cisom, Usmaf e Oim. Tutte e tre le organizzazioni sanitarie che si occupano della cura dei migranti nelle varie fasi del protocollo sono state denunciate come «complici delle deportazioni in Albania». Tra i firmatari: Mediterranea Saving Humans, Emergency, Medici Senza Frontiere, Sos Humanity, Sea-Watch, Sos Mediterranee. Ma a stilare un vero e proprio documento, di cui Il Giornale è in possesso, è il Simm, la società italiana di medicina delle migrazioni. Un nuovo vademecum, come già visto per i legali, ma questa volta con lo scopo di denigrare l’operato di tutti quei professionisti e colleghi che non stanno «dalla loro parte».
«Chiediamo alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi, alla Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche, agli Ordini degli psicologi, alle società scientifiche di ambito medico e a tutte le realtà medico sanitarie interessate di prendere formalmente e pubblicamente le distanza da tali pratiche». La critica principale e disumana sarebbe l’assenza di ambulatori specifici sulle navi, per i possibili traumi psicologici dei migranti: «Non esiste un ambulatorio medico né stanze adibite che garantiscono una adeguata privacy e una opportuna percezione di luogo sicuro», si legge nel documento. Da qui la durissima accusa a chi, invece, lavora su quelle navi, quei medici «colpevoli» di lavorare per il governo e che le ong accusano di «ambiguità del ruolo svolto dalle istituzioni di garanzia coinvolte in questo sistema» in quanto «operatori e operatrici della salute non dovrebbero essere coinvolte in tale sistema discriminante e degradante per l’essere umano». Insomma per i paladini dei migranti il nuovo accordo tra Meloni e Rama (nella foto) si traduce in una deportazione di persone che «calpesta i diritti umani» perché «tutte le persone soccorse in mare sono da ritenersi vulnerabili». Ma come funziona in realtà? Nel protocollo Italia-Albania sono previsti 3 screening medici prima di arrivare, eventualmente, nei centri albanesi. Il primo in acque internazionali da medici italiani del Cisom per testare o meno la vulnerabilità delle persone. Coloro che sono ritenuti idonei vengono trasportati sulla Nave Libra dove avviene subito un secondo screening ad opera di medici e infermieri di Oim. Le persone ritenute sane e provenienti dai Paesi sicuri vengono così indirizzati verso l’Albania dove, prima di distribuirli nei centri, avviene un terzo screening dal team sanitario di Usmaf che, nel caso individuasse problematiche, ordina di ricondurre i migranti in Italia. Un procedimento accurato che non sembrerebbe essere lo stesso proprio sulle varie Saving Humans, Open Arms e simili. A dirlo è proprio una dottoressa, Paola Tagliabue, che lo scorso anno ha descritto il trattamento sanitario sulle ong. Tagliabue partecipa alle missioni di Emergency, una delle tante firmatarie oggi dell’appello anti medici «governativi».
«L’infermiere provvede a un primo triage - si legge in un’intervista a Univadis Medscape Italia - poi i passeggeri vengono trasferiti una ventina alla volta sulla nave di soccorso e vengono sottoposti a un secondo triage rapido».
«Per fortuna - spiega la dottoressa - la maggior parte delle persone che vengono salvate non hanno bisogno di cure di emergenza, e le più frequenti condizioni significative, insieme alle ustioni, sono ipotermia e principio di annegamento».
Ed ecco l’ennesima dimostrazione del tentativo di boicottare il protocollo a tutti i costi: oggi gli stessi migranti sono tutti vulnerabili, a tutti i costi. L’ennesima contraddizione che dalle toghe arriva ai medici e che ha il sapore ormai di un atto solo politico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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