Le crepe nel ponte e l'idea di Cossiga

Tra l'89 e il '91 cadde il muro di Berlino e si sciolse l'Urss. Il Picconatore comprese subito che il moto tellurico avrebbe presto investito l'Italia, e mise in guardia le forze politiche, specie la Dc, perché si preparassero allo sconquasso

Le crepe nel ponte e l'idea di Cossiga

Mi è tornato in mente Cossiga, e a quel che avrebbe detto e fatto oggi. La storia sta cambiando ancora cavalli dopo trentacinque anni. Tra l'89 e il '91 cadde il muro di Berlino e si sciolse l'Urss. Il Picconatore comprese subito che il moto tellurico avrebbe presto investito l'Italia, e mise in guardia le forze politiche, specie la Dc, perché si preparassero allo sconquasso. Non fu ascoltato. Berlusconi, sostenuto dall'alleanza - da me promossa, è storia - tra Lega e Msi, rimediò. Adesso non è caduto un muro ma è venuto giù un ponte, o per lo meno vacilla: è quello invisibile ma reale che da ottant'anni ha finora congiunto le due sponde dell'Atlantico. Donald Trump gli ha dato una bella scrollata, poi si è fermato, ma si vedono le crepe. Era stato attraversato prima dagli americani da ovest a est, poi in senso opposto - e mi fermo al nostro Paese - da De Gasperi, perché gli Usa ci aiutassero, preservandoci dal comunismo e finanziando la ricostruzione. Lo fecero, assegnandoci com'è naturale lo status di colonia situata alla periferia dell'impero. Siamo grati del trattamento riservatoci, un purgatorio infinitamente migliore del paradiso sovietico cui ci avrebbe destinati il prevalere di Togliatti.

E adesso? Trump non si sa cosa pensa oggi, figuriamoci domani. Ma non scommetterei sulla solidità del ponte. Ci vorrebbe Cossiga per immaginare uno scenario e suggerire come muoversi a Giorgia, verso la quale ha sempre nutrito corrisposta simpatia. Intanto constato due fatti indotti dalla rivoluzione alla Casa Bianca.

1- L'Europa del Nord, a trazione tedesca, vuole imporre a quella Mediterranea e meridionale, il riarmo. Sono a disposizione 800 miliardi di euro. Uno li vuole? Si accomodi, poi li restituirà, impiccandosi magari come fece a suo tempo la Grecia. Se questo gruppo di Paesi capitanati dall'Italia dovesse ostacolare il progetto - lo si capisce dal tono ricattatorio

tenuto sul tema da tutti i giornaloni continentali e britannici- i governi renitenti sarebbero trattati come quello ungherese che finora è stato l'unico ad astenersi: corpi estranei, nazioni barbariche. Il fatto è che a noi non conviene in nessun senso indebitarci ulteriormente, mentre Berlino con i suoi satelliti nordici e baltici se li mangia tutti in un boccone, aggiungendoli ai soldi che ha in cassa. Con una sproporzione così marcata tra gli arsenali (e la Francia dotata di atomiche) secondo voi quanto conterebbe l'Italia nella Ue? Come il due di coppe se la briscola è fiori. La manifattura tedesca risorgerebbe grazie a una vera e propria economia di guerra. La Germania all'uopo ha perfino cambiato la sua Costituzione, con un voto del Bundestag decaduto. Jurgen Habermas, il più osannato tra i filosofi liberal-socialisti, non certo un estremista e neppure sospettabile di derive putiniane e neppure trumpiane (dice peste e corna di entrambi) con in saggio sulla SZ (Suddeutsche Zeitung), si è detto impaurito dalla risurrezione dello spirito guerresco teutonico con il pretesto dell'isolazionismo americano. Habermas ha 95 anni e pertanto conosce quei demoni assopiti. Forse meriterebbe attenzione. Paolo Mieli e Antonio Polito che da sinistra sono i teorici, all'unisono con Prodi, del riarmo targato Ursula von der Deutschland, mi chiedo come mai trascurino le considerazioni di un vecchio saggio, un attimo prima portato dall'intellighenzia progressista sulla sedia gestatoria, e ora depositato nel lazzaretto degli innominabili.

2) Giuseppe Conte naviga in Italia col vento in poppa. Ha radunato la scorsa settimana una folla cospicua a Roma. Cresce nei consensi, brucando col suo pacifismo il prato rosso della Schlein, la quale gli fa la riverenza inviandogli in omaggio una delegazione lecca-lecca.

Quando ha rottamato Beppe Grillo, la massima aspirazione che si accreditava a Giuseppe era quella di ereditare i rimasugli di un patrimonio dilapidato, un campo spelacchiato affittabile alla sinistra in cambio di qualche seggio a Roma e qualche presidenza locale. L'avvocato pugliese invece, ammainata la pochette, sbottonata la camicia come un sanculotto, indossata una linea politica monocorde, priva di sfumature e di distinguo, con una oratoria che ha il fascino delle patate lesse, sta provando a rinnovare i fasti grillini. E ci sta persino riuscendo. Come ha fatto? Dice e ripete dei no chiari e secchi, che si accordano con l'onda alta del comune sentire, e la cavalca come un Nettuno: no alle armi all'Ucraina, no al riarmo dell'Europa, no alla guerra e così sia. Ho sentito alcuni interventi pronunciati dal suo palco. Professori forbiti e concionatori da lunapark, secessionisti veneti e cattolici da viva il parroco, insieme a comunisti furbacchioni. E funziona. Ciò mi preoccupa. Nel merito do ragione alle tesi anti-riarmo. Ma affidarle a Conte è come affidare il pollaio a una volpe. Rischia di piacere persino a Trump, che nel 2019 lo battezzò Giuseppi appoggiando la formazione del governo giallo-rosso, cui si deve la disgrazia del 110. Oggi a Conte non è sfuggita la benché minima critica a Donald, una astuzia da fuoriclasse delle tre carte.

Quindi? Mi limito a segnalare i due fatti. Non mi piace nessuno dei due.

Cavare i due ragni dal buco non è affar mio. Meloni va giovedì da Trump: che la ispiri Cossiga nella difficile arte di trovare la rima tra le convinzioni proprie e quelle degli alleati (italiani, europei e americani). Dio salvi la Regina Giorgia.

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