Tutto il mondo è paese: l'ipocrisia femminista non conosce confini. A maggior ragione se le frontiere in questione sono quelle dalla vicina Francia. Nel Paese transalpino, la netta affermazione di Marine Le Pen al primo turno delle elezioni legislative ha mandato in sbattimento gli oppositori del Rassemblement National e soprattutto ha provocato una crisi di nervi alle femministe. Già alla vigilia del voto, infatti, queste ultime erano scese in strada per lanciare l'allarme sul presunto pericolo democratico rappresentato da Le Pen e dal suo partito. In particolare, a poche ore dall'apertura delle urne, avevano inscenato un folkloristico sit-it e a Trocadero si erano messe a ramazzare a seno nudo "per ripulire la Francia dal suo sudiciume fascista".
Ovviamente, nessuno si era curato di loro e ai seggi Le Pen aveva sbancato. Tra una settimana, i ballottaggi decisivi. Al di là di come andrà a finire, emerge sin da ora il grande paradosso femminista, in base al quale il successo di una leader donna non conta se donna in questione è di destra. Vi ricorda qualcosa? Domanda retorica: la stessa ipocrisia la si era vista in Italia dopo il trionfo elettorale di Giorgia Meloni. La portata storica di quella circostanza - mai una donna era arrivata a ricoprire il ruolo di premier nella storia repubblicana - era subito stata sminuita dalla sinistra attraverso pelossissime distinzioni. "C'è una differenza tra la leadership femminile e quella femminista", aveva sentenziato ad esempio Elly Schlein.
E ancora: "Non ce ne facciamo nulla di una donna presidente del consiglio che non si batte per migliorare la condizione di vita di tutte le altre donne del Paese". Quelle parole non erano state certo isolate e anzi interpretavano una convinzione tanto discutibile quanto diffusa a sinistra. Nelle loro manifestazioni di piazza, le stesse femministe italiche si erano scagliate contro Giorgia Meloni. "Una presidente che si identifica come 'il presidente' di donna ha ben poco. È una donna che è arrivata al potere ma non è una donna per le donne", aveva sentenziato un'attivista intervistata da Quarta Repubblica. Ora in Francia si ripete il medesimo copione, con critiche a Marine Le Pen che affondano le loro radici in un retroterra tutto ideologico.
Al pregiudizio femminista contro le donne di destra, infatti, si sommano gli allarmi ormai spuntati sulle libertà e i diritti in pericolo. "Lo abbiamo visto in Italia, in Polonia, in Ungheria: l'arrivo dell'estrema destra è sempre stato seguito dalla riduzione dei diritti delle donne e delle loro libertà", ha affermato nelle scorse ore il ministro francese per la parità tra donne e uomini, Aurore Bergé.
Al di là dello sgradevole e infondato riferimento a nostro Paese, dove i diritti delle donne non sono stati compromessi in alcun modo dal governo, quello della politica francese appare più che altro come un tentativo di creare il mostro alla vigilia del voto decisivo. Nulla di nuovo."Il n'y a pas besoin d'essayer pour voir. On a vu. En Italie, en Pologne, en Hongrie, l'arrivée de l'extrême droite s'est toujours suivie de la réduction des droits des femmes et de leurs libertés. Mobilisons nous."
— Aurore Bergé (@auroreberge) July 1, 2024
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