Come prevedibile, l'accordo tra Eni e Noc in Libia siglato sabato scorso sta suscitando diverse reazioni. E non mancano, soprattutto nel Paese nordafricano, le polemiche. Del resto, si tratta del più importante accordo nel settore petrolifero dalla caduta di Gheddafi. Così come si tratta di un'intesa politica molto rilevante essendo stata firmata alla presenza di Giorgia Meloni e del premier libico Abdul Hamid Ddeibah. Impossibile quindi una “quiescenza” degli attori ritenuti esclusi dagli accordi.
Le critiche del ministro del petrolio libico
Già alla vigilia della visita di sabato di Giorgia Meloni a Tripoli, da Sirte si erano levate voci di dissenso all'accordo tra i due colossi petroliferi. Nella città ex roccaforte del gheddafismo ha sede infatti il governo di Fathi Bashaga. Un esecutivo nato in contrapposizione a quello di Ddeibah e di cui non riconosce alcuna legittimità.
Nulla di strano quindi che dall'ufficio di Bashaga siano arrivate minacce di ricorsi e accuse contro la validità dell'accordo tra Eni e Noc. Il discorso senza dubbio cambia quando invece a criticare l'intesa sono uomini del governo di Ddeibah. Quello riconosciuto dall'Italia e legittimato ampiamente da Roma con la visita di Giorgia Meloni.
Nelle scorse ore, in particolare, hanno destato scalpore le parole del ministro del petrolio dell'esecutivo di Tripoli, Mohamed Aoun. Quest'ultimo, intervenuto in un video in diretta su Facebook domenica, ha criticato l'intesa firmata il giorno prima alla presenza di Meloni e Ddeibah. In primo luogo, ha ritenuto svantaggioso l'accordo per la Libia. E questo perché, secondo i termini del documento siglato sabato, l'Eni avrebbe in dote una quota di estrazione pari al 37%. Più alta quindi di quella prevista inizialmente, pari al 30%.
In secondo luogo, Aoun ha parlato anche di studi di fattibilità sul progetto poco affidabili. Inoltre, ci sarebbe anche preoccupazione per una possibile crisi di liquidità da parte della Noc, l'ente petrolifero libico, chiamata a finanziare il progetto con un investimento di quattro miliardi di Dollari.
Ma il vero nocciolo della questione, risiede probabilmente nella mancata consultazione del ministero guidato da Aoun. Il Ministro ha lasciato intendere di non essere stato ascoltato da Ddeibah prima di mettere la firma sui nuovi contratti.
Chi ha il potere sul petrolio in Libia
Viste le rimostranze dei rivali di Ddeibah e del suo ministro del petrolio, è possibile ritenere quindi a rischio l'accordo siglato sabato a Tripoli? Al netto delle possibili criticità del progetto, il quale prevede tra le altre cose la costruzione di due impianti offshore in grado di aumentare la quantità di gas esportata verso l'Italia, occorre notare che le polemiche sono state attivate da chi aveva tutto l'interesse a presentare le intese come mera carta straccia.
Bashaga, come detto, guida un governo ignorato dall'Italia e quindi tagliato fuori dagli accordi. Non va meglio ad Aoun, il cui ministero è stato letteralmente spacchettato e depotenziato nei mesi scorsi da Ddeibah. Così come sottolineato su AgenziaNova, il Premier libico ha rivitalizzato il Consiglio supremo per l'Energia, ente a cui è stata affidata la gestione del settore petrolifero. È da qui adesso che passano al vaglio tutti i vari progetti, compreso quello riguardante l'Eni.
Aoun, formalmente ministro ma messo alla porta da Ddeibah, rientra nella lista di chi ha tutto l'interesse a lanciare profonde accuse al più importante accordo degli ultimi 12 anni e a denunciare la mancata consultazione del proprio ministero.
C'è anche un altro aspetto da valutare. È bene infatti ricordare che il contratto firmato il 28 gennaio riguarda Eni e Noc. Impossibile quindi procedere senza l'avallo dell'entourage della società libica, retta da persone viste con fiducia sia nell'ovest che nell'est del Paese. Non è un segreto che lo stesso presidente della Noc, Farhat Bengdara, sia stato scelto dopo una contrattazione tra Ddeibah e il generale Haftar, l'uomo forte della Cirenaica che con il suo esercito controlla la regione orientale della Libia.
Se Haftar non ha pronunciato una sola parola contro l'accordo, vuol dire che l'investimento da otto miliardi non è malvisto nell'est del Paese. E questo nonostante le istanze di Bashaga, più radicato in Cirenaica che in Tripolitania.
Un accordo retto da una "benedizione" internazionale?
Nei corridoi diplomatici si è poi sempre più convinti che l'intesa tra Eni e Noc possa reggere l'impatto delle attuali critiche grazie al contesto internazionale in cui è maturata. Fonti diplomatiche sentite da IlGiornale.it, hanno evidenziato come l'accordo sia arrivato dopo la visita del capo della Cia William Burns in Libia, dove ha incontrato sia Ddeibah che Haftar (ma non Bashaga).
Ed è inoltre arrivato
dopo le visite del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ad Ankara e Il Cairo. In poche parole, l'accordo italo-libico potrebbe aver ricevuto la “benedizione” e la blindatura da parte di Usa, Turchia ed Egitto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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