Leo Longanesi diceva «tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola» e non c'è andato lontano neanche questa volta. Per la prima volta le criptovalute rientreranno tra i criteri di revisione dell'indicatore della situazione economica equivalente, il famigerato Isee, l'indice di ricchezza delle famiglie italiane considerato il parametro per concedere agevolazioni fiscali o benefici assistenziali. L'emendamento presentato da Fdi al decreto legge Fiscale, in esame alla commissione Bilancio del Senato, chiede di inserire nel calcolo del patrimonio mobiliare «le giacenze in valute, in criptovalute o consistenti in rimesse in denaro all'estero, anche attraverso sistemi di money transfer o di invio all'estero di contante non accompagnato».
Lo strumento finanziario-speculativo, nato per sedurre gli italiani e convertirli alla cosiddetta «finanza decentralizzata», lontana dalle banche centrali e dai «garanti» dell'asset (i puristi non la definiscono neanche più una valuta), si ritrova dunque imbrigliato nello strumento «borghese» del reddito Isee. Se non è una parabola poco ci manca. Sempre più operatori di cripto stanno chiedendo di sbarcare nel nostro mercato (ci sono oltre 20mila criptovalute diffuse nel mondo). Le possiedono 1,3 milioni di italiani, sei milioni (uno su dieci)
sono quelli attratti da questo strumento, con lo spauracchio di truffe e scandali. Non tutti ne comprendono fino in fondo lo spirito anarchico.
Se l'alibi (vero) è che i fratellini dei Bitcoin sono lo strumento più usato dalle narcomafie per nascondere i proventi del traffico di droga, specie le privacy coin tipo Monero, il patriarca Bitcoin (salito oltre i 75mila dollari con la vittoria di Donald Trump) mantiene intatta la sua fama anarcoide. Chissà se la veste «borghese» di benchmark della ricchezza ne scalfirà l'integrità o ne aumenterà la fama.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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