Tutti spingono, ma Piantedosi frena: perché l'Italia rischia sul dossier migranti

Oggi probabile fumata bianca sul nuovo patto per l'immigrazione, ma Roma non ha nascosto le proprie perplessità sulla riforma

Tutti spingono, ma Piantedosi frena: perché l'Italia rischia sul dossier migranti

A un passo da una riforma che però, gira e rigira tra un compromesso e un altro, rischia di scontentare tutti o quasi. Di certo, rischia di scontentare l'Italia. In Lussemburgo oggi, dove si sono aperti i lavori del Consiglio degli Affari Interni dell'Ue, da un lato dovrebbe arrivare la tanto attesa fumata bianca per il nuovo piano sull'immigrazione. Dall'altro però, gli orizzonti appaiono tutt'altro che chiari e limpidi. Lo ha fatto intuire lo stesso ministro dell'Interno italiano, Matteo Piantedosi, appena è atterrato nel granducato. "Oggi - ha dichiarato - intendiamo assumere sicuramente una posizione di responsabilità ma è di responsabilità che dobbiamo avere anche verso i cittadini italiani e verso anche tutti i cittadini europei ai quali non possiamo proporre una riforma che sarebbe destinata nei fatti a fallire".

Cosa prevede il nuovo regolamento

Del nuovo piano sull'immigrazione si parla da anni. Ma in ambito comunitario una scia incrociata di veti e opposizioni ha sempre impedito l'approvazione di una nuova norma. Del resto l'argomento è uno dei più sentiti politicamente e all'interno dell'Ue non mancano posizioni e sensibilità differenti sul fenomeno. Il sud Europa, Italia compresa, da anni chiede solidarietà. E quindi un superamento del trattato di Dublino, lo stesso che impone al Paese di primo approdo l'onere dell'accoglienza, e una redistribuzione dei migranti sbarcati. Il nord Europa invece chiede rigore e responsabilità.

Coniugare le istanze di queste due anime, a cui se ne aggiunge una terza includente i Paesi del Gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), è spesso sembrato difficile se non impossibile. Tuttavia il recente corso degli eventi ha imposto un'accelerazione a Bruxelles. L'aumento repentino degli sbarchi, gli allarmi lanciati sia da nord che da sud, i timori per la sicurezza dei confini e l'uso strumentale dell'immigrazione da parte di Paesi terzi hanno fatto capire al gruppo dei 27 che era arrivato il momento di elaborare un nuovo testo.

La presidenza di turno svedese ha lavorato in questi mesi con un unico obiettivo: arrivare entro luglio con una prima bozza di riforma. Poi la palla passerà all'europarlamento e solo dopo, forse entro il 2024, si arriverà all'approvazione definitiva. Lo scoglio principale è dato dal Consiglio europeo: è qui che tanto la presidenza di turno quanto la commissione europea devono convincere tutti i governi a dare il via libera. È in Lussemburgo cioè, come spiegato da Marco Bresolin su La Stampa, che si sta giocando la partita principale.

Il nuovo regolamento non prevede il ricollocamento obbligatorio dei migranti. Si è arrivati a concepire però, dopo settimane di trattative, la cosiddetta "solidarietà obbligatoria". Vale a dire che i Paesi che non prendono in carico i migranti spettanti dovranno versare un contributo finanziario. Forse ventimila o trentamila Euro per migrante. Un modo quindi per andare incontro sia alle richieste dei Paesi del sud che a quelli più recalcitranti sulla redistribuzione.

Se la solidarietà obbligatoria è stata presentata in ambito diplomatico come una concessione ai governi dell'Europa meridionale, per accontentare i Paesi del nord invece è stata introdotta la cosiddetta "procedura di frontiera". Con essa, i Paesi di primo approdo avranno maggiori responsabilità e maggiori obblighi riguardo la registrazione dei migranti. L'iter per l'esame delle domande di asilo inoltre, secondo il documento in fase di studio in Lussemburgo, dovrà essere più breve e non sforare le 12 settimane.

I punti più controversi della riforma

Da un lato l'Italia aveva già da tempo messo in conto l'assenza di una redistribuzione obbligatoria. Il punto più controverso, almeno dalla prospettiva del governo di Roma, riguarda quindi la procedura di frontiera. Le autorità italiane, al pari di quelle degli altri Paesi del sud Europa, avranno maggiori responsabilità. Di fatto è demandata a loro la sicurezza e la guardia dei confini esterni dell'Unione Europea.

Circostanza che ha indispettito lo stesso Matteo Piantedosi. Il ministro dell'Interno ha esternato non poche perplessità nell'immediata vigilia del consiglio. Nelle sue dichiarazioni appare evidente da un lato la volontà di non far naufragare l'accordo, ma dall'altro anche la necessità di rivedere in futuro i punti più delicati. "Nei termini in cui si cono state presentate le ultime proposte negoziali - ha dichiarato il titolare del Viminale - riteniamo che ci siano ancora molte cose da fare".

L'Italia non voterà contro probabilmente per evitare il definitivo stop alla riforma. Ma Roma ha intenzione di non limitare all'incontro di oggi le discussioni sul nuovo patto. Anche perché Piantedosi ha messo in chiaro che le attuali condizioni non sono soddisfacenti. "A fronte di un drammatico aumento dei flussi nel Mediterraneo centrale - ha proseguito il ministro - la redistribuzione dei migranti tra gli altri Paesi europei è stata di meno di 1500 persone, che è ben al di sotto dei pur limitati impegni assunti ed è un sintomo di fallimento del principio di solidarietà".

Forse, come suggerito da fonti diplomatiche su La Stampa, c'è spazio per un nuovo compromesso: ossia discutere sulle soluzioni esterne all'Ue per frenare i flussi migratori. "Per affrontare il fenomeno migratorio - ha aggiunto Piantedosi - non è sufficiente avere nuove norme europee ma occorre una forte azione esterna dell'Unione.

Solo in questo ambito è possibile trovare quelle soluzioni strutturali di cui abbiamo bisogno per prevenire i flussi e favorire i rimpatri. Ed è proprio per questo che ho chiesto oggi di avere un punto sulla dimensione esterna e in particolare sulla situazione in Tunisia".

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