Il premier rottamatore si è autorottamato

Il Paese è nelle mani di un'accolita di dilettanti allo sbaraglio che non hanno una politica e, culturalmente, neppure uno straccio di idea che ne prefiguri un'alternativa politica

Il premier rottamatore si è autorottamato

Per una di quelle ironie della sorte che costellano la storia degli uomini, soprattutto quando presumono troppo da se stessi e dagli altri, la stagione del grande rottamatore - che avrebbe dovuto svilupparsi e concludersi con la rottamazione della vecchia politica e una riforma epocale in grado di cambiare letteralmente il Paese - si sta sviluppando e minaccia di chiudersi, sulla falsariga della vecchia politica che avrebbe dovuto rottamare e sostituire con una serie di riforme epocali. Con la sua inerzia rispetto ai problemi che urgono, primo fra tutti quello dell'immigrazione incontrollata, il presidente del Consiglio assomiglia sempre più, ogni giorno che passa, ai suoi predecessori ai quali egli rimprovera di aver portato il Paese allo sfascio con la loro incapacità (che, ahimè, si sta rivelando anche la sua).

Decine di migliaia di precari entrano nella Pubblica amministrazione - grazie a quella che, con una certa faccia tosta, il capo del governo chiama riforma - senza concorso come prescriverebbero la legge e la stessa Costituzione; la spesa pubblica è aumentata contribuendo a ingrossare il debito che, a sua volta, ha raggiunto livelli mai conosciuti prima; la crescita economica è piccola e la disoccupazione grande; l'immigrazione sta minando la sicurezza generale, con la crescita della criminalità che, ormai, svaligia gli appartamenti e massacra di botte chi ha la malaugurata sorte di trovarsi al loro interno nel momento della visita dei malfattori. L'Italia è allo sfascio, sempre più in preda a una burocrazia invadente e oppressiva che, secondo le promesse, avrebbe dovuto essere ridotta e riformata; non c'è quasi nulla che funzioni decentemente e ciò che funziona, funziona male.

Tutta, e solo, colpa di Renzi? Certamente no; gli si farebbe torto a dirlo. Ha ereditato un Paese già in crisi e il suo errore è consistito soprattutto nel promettere cose che non era in grado di realizzare. In realtà, paghiamo il prezzo di politiche passate - dette sociali, ma, in realtà, stataliste, dirigiste e dispersive di risorse e di opportunità, prodighe solo di corruzione - e di promesse, ad opera del presidente del Consiglio, che lui non avrebbe dovuto fare, sapendo come stavano le cose, e che non avrebbero potuto concretarsi nelle condizioni in cui si trova il Paese. Il livello della fiscalità è intollerabile e penalizza non solo il cittadino come contribuente, ma l'economia nel suo complesso, impedendo al mondo imprenditoriale di svilupparsi e di operare. Un disastro.

L'Italia pare tornata ai giorni del Dopoguerra, con l'aggravante che ora non ci sono Einaudi e De Gasperi, ma ci sono Renzi e la sua brigata di belle donne come ministri, belle donne che paiono appena uscite dal parrucchiere e che sono palesemente inadeguate. Il Paese è nelle mani di un'accolita di dilettanti allo sbaraglio che non hanno una politica e, culturalmente, neppure uno straccio di idea che ne prefiguri un'alternativa politica.

Rilevare, e denunciare, tale sfacelo non è avercela con Renzi, ma dire le cose come stanno. Dovrebbe essere il compito di media che assolvano la propria funzione, come prefigurava Tocqueville nella Democrazia in America . Ma non funziona neppure quello. A non funzionare non è solo la politica.

Sono gli italiani, ideologicamente affezionati a un sistema politico e sociale che non funziona. Come hanno mostrato abbondantemente le dure repliche della storia col fallimento del socialismo reale.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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