Una lista dei ministri esiste ma solo nella testa di Mario Draghi, condivisa probabilmente con il capo dello Stato, ma niente al di fuori di questa cerchia ristrettissima. Con i leader e capi delegazione saliti al Quirinale per le consultazione il premier incaricato non ha neppure sfiorato la questione dei posti nel governo, né dati indicazioni anche solo informali sulla proporzione tra tecnici e politici o sul ruolo che avranno nell'esecutivo i partiti che lo sosterranno. All'assoluto riserbo di Draghi però fa da contraltare l'assoluto interesse che la questione dei posti da assegnare riveste soprattutto per i partiti dell'ex maggioranza, dove ci sono ministri uscenti che aspirano ardentemente alla riconferma. Tra questi si segnala un attivissimo Di Maio, che sta facendo di tutto per restare ministro degli Esteri (ma un tecnico quotato per lo stesso ruolo è Elisabetta Belloni, segretario generale agli Esteri), incarico di prestigio senza il quale si ritroverebbe ad essere un semplice deputato, non essendo più leader del M5s, dopo tre anni in cui ha collezionato un triplete di ministeri (Mise, Lavoro, Esteri) da far invidia ad un vecchio democristiano. Ma in pressing per non perdere la poltrona ci sono anche due Pd, Dario Franceschini (Cultura) e Lorenzo Guerini (Difesa), sono loro i due nomi dem in ballo in un'ipotesi di governo Draghi con una quota di ministri politici. Lo schema che, nei corridoi dei palazzi, si sta affermando è infatti un 2-1. Cioè due ministri al M5s, che malgrado il tracollo degli ultimi tempi resta il primo gruppo parlamentare per consistenza numerica; poi due poltrone per gli altri partiti della maggioranza, Lega, Pd e Fi, e uno a Iv. Per i grillini si parla di Stefano Patuanelli, riconfermato ma con uno spostamento, dallo Sviluppo Economico ad un nuovo dicastero, quello per la Transizione Ecologica, dicastero la cui creazione Draghi ha confermato ieri alla delegazione del Wwf e che è stato tra gli argomenti di una telefonata tra Draghi e Beppe Grillo. Un ministero che, sul modello francese, potrebbe accorpare Sviluppo Economico e Ambiente, e che quindi in questa doppia funzione diventerebbe un dicastero economico di peso. Per questo gira un nome tecnico, quello di Enrico Giovannini, economista, ex ministro e portavoce dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. Proprio in questo ruolo di ambientalista Giovannini è in buoni rapporti con il M5s.
Per Forza Italia c'è Antonio Tajani (per lui ci sarebbero gli Affari europei), per la Lega Giancarlo Giorgetti e Giulia Buongiorno (Pubblica amministrazione), per Iv sia la Bellanova sia la Boschi. Al momento viene data come improbabile l'ipotesi che nel governo possano entrare i leader di partito. Salvini lo prende in considerazione «solo se entrassero gli altri leader», ma d'altra parte per il Pd diventerebbe difficile giustificare al proprio elettorato l'appoggio ad un governo che conta il leader della Lega come ministro. La strada più plausibile è quindi che i partiti entrino, ma senza un incarico ai leader.
Se così fosse, quelli in ballo sarebbero i ministeri non economici. Perché su quelli economici (Mef, Mise, Lavoro, Infrastrutture), infatti, Draghi si riserva di indicare nomi di propria fiducia, senza interferenze della politica (escluso il Quirinale, ovviamente). Nomi presumibilmente già sondati con la massima riservatezza. Quelli più quotati dai bookmaker sono la giurista Marta Cartabia (Giustizia), per i ministeri economici invece Daniele Franco (Bankitalia), Lucrezia Reichlin, Dario Scannapieco (Banca Europea degli Investimenti), Carlo Cottarelli, il già citato Giovannini, l'ex dg di Confindustria Marcella Panucci, Tito Boeri (per il Lavoro). Al Viminale potrebbe essere riconfermata Luciana Lamorgese, alla Salute spera di restare Roberto Speranza (Leu), mentre alla Scuola andrà un tecnico. Per i gruppi minori, potrebbero ritagliarsi dei ruoli la Bonino e Calenda.
Un altro schema possibile però è quello per cui i ministri saranno tutti tecnici scelti da Draghi, e ai partiti andranno i sottosegretari,
compresi quelli alla presidenza del Consiglio. I posti, per legge, sono 14 ministri con portafoglio, più altri senza, per un massimo di 65 tra vice e sottosegretari. Posto ce n'è, resta da capire cosa abbia in mente Draghi.
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