Abkhazia, Transnistria e Ossezia del Sud: le altre repubbliche fantoccio dell'(ex) impero

Riconosciute e armate solo da Mosca, che alimenta l'instabilità controllata

Abkhazia, Transnistria e Ossezia del Sud: le altre repubbliche fantoccio dell'(ex) impero

A Tiraspol, davanti al massiccio palazzo brutalista che ospita il Consiglio supremo della Transnistria c'è una grande statua di Lenin in granito rosa che indica con il braccio il sol dell'avvenire. Accanto sventolano i variopinti vessilli delle repubblichette autonome nate dallo sfarinamento dell'Unione Sovietica. Abkhazia, Ossezia del Sud, Repubblica Popolare di Donetsk e di Lugansk. Nell'enciclopedia della storia occupano tutte la stessa pagina, alla voce invero assai controversa di Paesi che vantano una sovranità territoriale, hanno dichiarato l'indipendenza, battono moneta ed emettono passaporti che valgono meno di un green passa scaduto, e soprattutto non hanno nessun riconoscimento internazionale. Se non quello di Mosca. Pur con le specificità locali le loro storie sono simili. All'indomani ddella creazione delle 15 Repubbliche autonome, scoppiano conflitti più o meno spontanei in cui minoranze russofone si ribellano ai governi centrali. Conflitti con diversi gradi di intensità, dove potentati locali imbracciano le armi e autoproclamano l'indipendenza garantita da Mosca e dai suoi soldati travestiti da forze di pace. Successe nel 1992 quando l'Abkhazia, una piccola striscia di terra sul Mar Nero, famosa per gli imponenti resort e le coltivazioni di mandarini, si staccò dalla Georgia con una guerra piuttosto violenta che portò alla pulizia etnica dei georgiani. Da allora grazie a un trattato di cooperazione militare della durata di 49 anni la Russia garantisce il controllo delle frontiere.

Successe nel 1991 in Ossezia del Sud, altro territorio formalmente georgiano che però per questioni linguistiche (si parla l'osseto, una lingua iranica) si proclamò indipendente, diede vita a un conflitto con un migliaio di morti che finì con un cessate il fuoco vigilato da Mosca. Una situazione stabile fino a quando nel 2008 Tblisi non ha pensato bene di provare a riprendersi con le armi quel che riteneva suo. Peccato che Mosca abbia reagito intervenendo con l'aeronautica e arrivando alla porte di Tblisi. Ora la Russia e altre quattro nazioni riconoscono l'Ossezia del Sud.

Successe nel 1990 sulle rive del Dniester, al confine con l'Ucraina, quando il congresso dei rappresentanti del popolo di Tiraspol dichiarò l'indipendenza dalla Repubblica Moldava perché loro, per un terzo russofoni, non avevano intenzione di adottare l'alfabeto latino. Ne seguì il solito conflitto armato da un migliaio di morti, dove intervennero pur senza mostrine 5mila cosacchi e volontari russi, e un cessate il fuoco anche qui vigilato da Mosca. Situazione congelata nonostante nel 2014 con un referendum la Transnistria abbia chiesto l'annessione alla Russia. Che ha declinato, ma mantiene sul territorio 2mila soldati. Storia che si è ripetuta nel 2014 in Ucraina, quando nelle zone a maggioranza russofona di Lugansk e Donetsk quasi 4 milioni di persone scoppiarono tumulti contro il governo di Kiev. Seguirono scontri armati con l'intervento di volontari russi, autoproclamazioni di indipendenza, richieste di annessione a Mosca e perdurante conflitto a bassa intensità. Almeno fino a ieri.

A questi si può aggiungere il Nagorno Karabakh, un pezzetto di Caucaso meridionale autoproclamatasi indipendente nel gennaio del 1992 e conteso ferocemente gli ultimi scontri sono dell'estate 2020 da Armenia e Azerbaigian. Il territorio è rivendicato dall'Armenia, perché i 150mila abitanti parlano armeno, ma fisicamente è un'enclave circondata dall'Azerbaigian.

Mosca visto si mantiene equivicina: ha migliaia di soldati in Armenia e salomonicamente rifornisce di armi ora uno, ora l'altro. Convinta che l'instabilità controllata gli serva a controllare i tanti frammenti di quel grande impero che qualcuno al Cremlino sogna di ricostituire.

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