Appalti pilotati. Alla cloche ci sarebbe stato anche Luciano D'Alfonso. Un nuovo terremoto, stavolta giudiziario, rischia di inghiottire la poltrona del presidente della Regione Abruzzo, uomo forte del Pd e renziano tutto d'un pezzo, in carica dal maggio del 2014. I sismografi hanno oscillato violentemente ieri mattina, quando carabinieri e polizia hanno fatto scattare perquisizioni in diverse città. Un lavorìo che sarebbe passato sotto traccia se agenti e militari non si fossero presentati anche a Palazzo Silone, attuale domicilio del governo regionale, facendo sosta al Settore Patrimonio.
Nel mirino, in particolare, le carte relative alla riqualificazione di Palazzo Centi, acquistato nel 2002 dalla Regione ed adibito a sede della giunta prima d'essere lesionato dal sisma (quello vero) del 2009. Fatti oggetto di un'indagine in corso, riguardante funzionari e imprenditori ma non il governatore. Che invece, per sua stessa ammissione, si è visto notificare avvisi di proroga di indagini relative a due ulteriori, diverse vicende che lo vedrebbero indagato per corruzione, turbativa d'asta e abuso d'ufficio: un paio di cantieri attivi a Penne (con accertamenti avviati nel novembre 2015) e la manutenzione di alcune case popolari di Pescara, divenuta oggetto di un fascicolo aperto a luglio.
«Mi ritengo estraneo a qualsivoglia reato e auspico un espletamento rapidissimo di ogni indagine. Ho fiducia nell'operato degli inquirenti come ne avevo in passato, quando è stata sempre accertata la liceità delle mie condotte amministrative», s'è affrettato a precisare D'Alfonso. Nelle sue parole, un riferimento chiaro ai diversi processi affrontati nel tempo. E vinti: da sindaco di Pescara nel 2008 finì ai domiciliari per tangenti. Rinviato a giudizio, fu assolto con formula piena nel 2013. Identico verdetto incassato nel 2014 nel processo nato dall'affidamento della progettazione del porto pescarese. Resterebbe il procedimento sulla Mare-Monti, la strada da 22 milioni di euro iniziata nel 2008 e bloccata 4 mesi perché il tracciato attraversava una riserva naturale, ma l'accusa di truffa contestata a D'Alfonso in veste di presidente della provincia è già stata cancellata dalla prescrizione.
Precedenti che se da un lato inducono alla prudenza ed all'esercizio del garantismo, dall'altro regalano nuovi grattacapi. Specie sul versante politico, soprattutto al Pd, già scottato dal caso di Ottaviano Del Turco, nel 2008 da presidente della Regione costretto alle dimissioni perché risucchiato nella Sanitopoli abruzzese, smontata solo lo scorso dicembre dalla Cassazione e - per quel che resta - dal maturare della prescrizione. Stavolta a turbare il sonno dalle parti del Nazareno, oltre al clamore mediatico, è la vicinanza politica del presidente indagato al leader dimissionario. «Non è finita qui. L'Italia ha ancora bisogno di Matteo Renzi», dichiarava fedele alla linea D'Alfonso per esaltare il legame col rottamatore rottamato dopo la batosta rimediata al referendum sulle riforme costituzionali.
Il guaio, per il governatore, è che a non finire qui è pure l'inchiesta della Procura: tra i documenti acquisiti figura la delibera di giunta sull'ammodernamento di alloggi di edilizia residenziale pubblica in via Caduti per
Servizio ed in via Salaria Vecchia, a Pescara, per una spesa di quasi 4 milioni di euro. Non era mai stata pubblicata sul sito della Regione. Stranamente, come tante altre delibere da ieri tutte nelle mani degli inquirenti.
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