C i sono storie che non si vorrebbero raccontare perché l'imbarazzo supera l'interesse e perché contengono una gran dose di ripetitività. È il caso dell'esplosione antisemita di Abu Mazen, che era già stata preceduta da un'uscita analoga un paio di mesi fa, e che come un treno ansimante bofonchia l'anima vera del capo dell'Autonomia Palestinese sin dai tempi in cui nel 1983, all'università di Mosca, scrisse una tesi che negava la Shoah, riduceva il numero dei morti da 6 milioni a uno, addossava la responsabilità agli ebrei stessi, anzi, al sionismo: accusava gli ebrei di essersi accordati con i nazisti perché li perseguitassero, così da metterli in fuga dalla Germania e andassero a colonizzare la Palestina; e gli ebrei, diabolici, avevano fatto questo accordo coi nazisti in modo che il sionismo potesse fiorire, compensati da una fantasmagorica, mai vista, ricompensa in denaro. Un pasticcio concettuale e storico basato sull'ignoranza. Ma al fondo c'è un odio evidentissimo, che lunedì ha messo fuori la testa in un discorso al Consiglio Nazionale Palestinese a Ramallah, e forse c'è anche il desiderio di cancellare la sfera storia, quella di Amin al Husseini, il leader palestinese che fu alleato di Hitler contro gli ebrei. Lui, sì, era nazista.
Abu Mazen lunedì a Ramallah ne ha dette tante e tutte disgustose, con due punti focali. Il primo «gli ebrei sono stati massacrati fin dall'undicesimo secolo fino all'Olocausto ogni 10-15 anni. Ma perché questo è accaduto? Non per via della loro religione, ma per il loro comportamento sociale legato a banche e usura». Ovvero, gli ebrei hanno causato la Shoah a causa della loro rivoltante brama di denaro. È un classico: il denaro è il tratto distintivo degli ebrei (oltre al naso, sempre nelle caricature in stile nazista sulla stampa palestinese). Ma basta guardare le foto delle donne, dei bambini, dei vecchi nei campi di concentramento o nelle fucilazioni, o rastrellati in tutta Europa per ritrovare la verità di un popolo intero, soprattutto povero, perseguitato in tutta Europa. Ma Abu Mazen ha la stessa posizione che prese Adolf Eichmann, l'architetto della soluzione finale, in un famoso dialogo del 1957 in cui sosteneva che la Shoah era stata la risposta obbligata a un «sofisticato piano di morte messo in piedi dagli ebrei, o noi o loro».
Il secondo punto è l'altro classico, stavolta alla Arafat: il sionismo era in combutta con quei poteri occidentali che vollero colonizzare tramite gli ebrei il mondo arabo. Non c'entra nulla la religione, né la storia ebraica. Cioè: «La storia di una nazione, della fondazione di Israele non è degli ebrei ma dei poteri coloniali. I leader europei volevano creare una presenza straniera per indurre conflitto e divisione fra gli stati arabi. Agli ebrei di tornare a casa non gliene importava niente». E i sionisti si allearono ai colonialisti anche trattando la fuoriuscita degli ebrei dalla Germania perché così avrebbero sospinto l'emigrazione. Strana logica: volevano una patria tanto da vendere tutti i loro fratelli o non gliene importava? Abu Mazen ha continuato a delirare citando un libro di Arthur Koestler in cui racconta la conversione del popolo Khazaro, del nord Europa, all'ebraismo e dice: vedete gli ashkenaziti sono ebrei finti (come Ben Gurion, per capirci). Troppo ridicolo. Di fatto tutti i testi raccontano come il popolo ebraico fosse già una nazione in Israele dal 1.312 avanti Cristo; il suo orgoglio nazionale fu già fastidioso per Babilonesi, Romani, Greci come il suo incessante anelare il ritorno a casa.
Se ci chiediamo perché Abu Mazen ha avuto una deiezione così incontinente, la risposta è in due eventi: il passaggio dell'ambasciata americana a Gerusalemme e le manifestazioni di Hamas a Gaza.
Sono due sfide cui il rais risponde con un atteggiamento furioso per mantenere la leadership sul mondo palestinese, fra una predisposizione evidente all'incitamento antisemita connesso alla scelta del terrorismo, e un'apparenza di disponibilità al dialogo e alla trattativa. Sempre, per altro, smentita dai continui rifiuti di cui è fatta la politica palestinese dai tempi di Arafat.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.