Si litiga. Su ogni fronte: dall'auto ai prodotti lattiero-caseari, dal riso all'acciaio. Chiamando in causa anche il Wto, cioè quell'organizzazione per il commercio mondiale che in passato ha dato raramente prova di rapidità d'azione. Altro che calumet della pace commerciale: i rapporti fra Unione Europea e Cina restano tesi come una corda di violino. A dispetto dell'incontro di pochi giorni del vice-presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, col ministro per il Commercio cinese, Wang Wentao, tira ancora un'aria gelida che porta con sé la minaccia di nuovi dazi e tutto quanto va in direzione opposta alle regole del libero scambio. Quasi un de profundis per quel processo di globalizzazione capace in un trentennio di abbattere gli steccati del protezionismo e tenere al guinzaglio l'inflazione.
L'ultimo capitolo del braccio di ferro sino-europeo ha per oggetto latticini e formaggi made in Europe, messi lo scorso 21 agosto sotto la lente dall'ex Impero Celeste per valutare la futura introduzione di una sovrattassa doganale. Che farebbe male, andando a colpire prodotti per un controvalore complessivo pari a 1,8 miliardi di euro (la quota italiana è di poco sopra gli 83 milioni). Un'indagine che Bruxelles intende soffocare sul nascere, poiché la considera il primo passo verso un atto di ritorsione vero e proprio in risposta all'introduzione di dazi sulle quattroruote elettriche cinesi importate nel Vecchio continente. Da qui la decisione, mai presa in passato, di rivolgersi al Wto. L'obiettivo: contestare l'avvio di misure di protezione sulla base di «accuse discutibili» e prove «insufficienti, in un breve lasso di tempo». Per il momento si tratta di una richiesta di consultazione a cui seguirebbe, in caso di risposta insoddisfacente, una richiesta per l'istituzione di un panel incaricato di decidere sulla questione. Ma il contenzioso con Pechino rischia di allargarsi a macchia d'olio, invelenendo ulteriormente rapporti già deteriorati, se saranno accolte le richieste rivolte a Bruxelles dai grandi gruppi siderurgici europei decisi ad affrontare l'impennata delle esportazioni cinesi di acciaio. Un fenomeno che ha compresso i prezzi in Europa al di sotto dei costi di produzione. Nel ricordare che la Cina esporterà oltre 100 milioni di tonnellate di acciaio nel 2024, il Financial Times sottolinea che l'export verso l'Europa è limitato dall'introduzione delle misure di salvaguardia su alcuni prodotti siderurgici dal 2018, ma che ciò non è sufficiente a impedire gli effetti a catena delle maggiori importazioni da altri Paesi. Servirebbe quindi, sostengono i gruppi industriali, «un sistema tariffario globale per contrastare la sovraccapacità e proteggere i produttori nazionali che si trovano ad affrontare una domanda debole e costi energetici elevati». ArcelorMittal e Tata Steel sollecitano inoltre l'Ue a introdurre misure antidumping più incisive di quelle attualmente in vigore.
Un altro capitolo di probabile contenzioso riguarda il riso. Nel mirino dell'Italia, spalleggiata da Grecia, Bulgaria, Romania, Spagna e Portogallo, ci sono le circa 450mila mila tonnellate di riso, libere da dazi, importate dalla Cambogia e dalla Birmania.
Roma invoca provvedimenti, a cominciare dal ripristino della clausola di salvaguardia automatica. Perché finora il mercato comunitario è riuscito ad assorbire tali volumi «solo a causa della carenza di produzione dovuta alla siccità», ma una volta rientrata l'emergenza la situazione diventerà «insostenibile».
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