A Venezia non si sente il rumore dei trolley che galoppano lungo le calli. Le uniche ruote che corrono sono quelle dei carrelli dei veneziani e dei negozianti che buttano via quintali di roba marcia.
Venezia non è come tutti i gli altri giorno. Non si vede la gente correre, parlare al telefono, impicciata, indaffarata. Non si vedono gli avvocati con gli zaini in corsa per la prima udienza, o gli studenti che marciano ripassando le lezioni. No. Non si vedono nemmeno fiumi di persone che ogni giorno affollano la città. Tutti in fila sopra le passerelle perché in alcuni punti l'acqua è ancora alta. Gli unici indaffarati sono i veneziani. Le uniche voci sono quelle dei residenti dei negozianti e dei commercianti che tentano di salvare quello che la natura e i rallentatori del Mose hanno distrutto e buttano quello che è irrecuperabile. I soli rumori che si sentono sono quelli della scopa di saggina che spazza via l'acqua, che sbatte sui pavimenti, il rumore degli aspiratori e quello dei phon che asciugano i frigoriferi. Per chi ha la fortuna di lavorare, i locali sono pieni di veneziani indaffarati, in tuta, che cercano un panino, un caffè, che fanno una pausa tra un sacco e l'altro.
Ma molti locali sono chiusi. Molti forni sono chiusi, molti negozi sono ancora chiusi. Con la roba per terra, con la gente che pulisce, con le persone armate di guanti e scopettoni. Il magazzino è un macello, ci dice Luca Formentello dell'Atelier Murano Glass. Nel suo negozio si è alzato il pavimento. Le piastrelle si sono staccate una a una.
«Nel giro di cinque minuti qui era tutto allagato - ci dice il titolare di una caffettiera in Strada Nova - siamo incazzati neri. Frigoriferi da buttare, freezer, tutto». La gente ancora tenta di attraversare le calli, con gli stivali, con i sacchi di immondizia. I bengalesi per coprirti i piedi ti vendono quei sacchi colorati a quindici euro. Fermano la fila sopra le passerelle e iniziano a urlare: «numero 42? 41? 37?». Quando passa qualcuno che c'ha il 37, afferra i sacchi, paga e prosegue dritto. Poi non appena deviamo verso Santa Maria Formosa le scene si ripetono. Negozianti che spalano l'acqua, chi col sorriso, chi con qualche intercalare di troppo. Fino ad arrivare alla libreria Acqua Alta, una delle più belle del mondo, a pochi passi da Piazza San Marco e il Ponte di Rialto. Fondata nel 2004 da Luigi Frizzo, la sua bellezza e particolarità è che c'ha i libri dentro alle gondole, le barche; montagne e montagne di libri accatastati ovunque, a cui fa fa da guardia quel gatto nero divenuto il suo simbolo. Arriviamo qui a ora di pranzo, ma qui si fa tutto un dritto, il personale pulisce, cerca di recuperare i libri, di salvarli, ma la stanza dei libri da buttare è un pugno al cuore. «Sono migliaia di volumi - ci dicono - sarà una tonnellata, stamattina mi saranno passate sotto il naso centinaia e centinaia di cassette piene».
La gente arriva da ogni dove per fotografare e qualcuno chiede anche di entrare nella stanza con i libri da falciare per vedere se può comprare qualcosa. Una fratellanza tipica dei veneziani. Come quella attivata per l'edicola di Walter Mutti, storico rivenditore, in piedi da 25 anni. La sua edicola è finita in canale e ora alcuni amici si sono mobilitati nei social. Hanno avviato una raccolta fondi sulla piattaforma GoFoundMe. Intanto il Governo ha stanziato i primi fondi e annunciato la proclamazione dello stato di emergenza. Indennizzi fino a 5 mila euro per i privati e fino a 20 mila per gli esercenti. E c'è anche chi nella tragedia polemizza, forse non sapendo che ogni qual volta in Veneto accade qualcosa, la gente si rimbocca le maniche e non rimane a guardare come spiega Luca Zaia in un post.
«Cari veneti - scrive una donna su Facebook - rimboccatevi la maniche, prendete secchiello e paletta e raccogliete l'acqua». O ancora: «Hotel di lusso allagati? Ben vi sta.
Per dormire ci devi lasciare un litro di sangue». O ancora riferimenti all'autonomia: «risolvessero i problemi da soli».Intanto oggi è prevista un'altra marea. «La gente ha paura», ci dice un signore in stazione. Oggi saremo ancora qui.
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