Adesso Calenda fa il giustizialista. Renzi: "Toni grillini. Ma quando serviva il logo per le liste..."

Attacco sugli avvisi di garanzia e sui soldi presi dalle lobby e Bin Salman.

Adesso Calenda fa il giustizialista. Renzi: "Toni grillini. Ma quando serviva il logo per le liste..."

Stavolta i primi a restare basiti per il nuovo round anti-Renzi di Carlo Calenda sono stati proprio i dirigenti ed eletti di Azione.

«Prima ci manda via chat l'ordine di assoluto silenzio stampa. Poi sferra un attacco a Renzi con toni che neanche il Fatto Quotidiano», geme, dietro assoluta garanzia di restare anonimo, uno di loro. «Basta: non dobbiamo partecipare oltre a questo spettacolo indecoroso», è l'invito perentorio del leader di Azione, alle nove del mattino. Un ora dopo, però, è lui stesso a intervenire con una serie di tweet che tirano in ballo contro l'odiato Renzi inchieste, pm, soldi e addirittura assassinii di giornalisti: «Nella mia vita professionale - tuona Calenda - non ho mai ricevuto avvisi di garanzia, rinvii a giudizio o condanne». E ancora: «Non ho accettato soldi a titolo personale da nessuno, tanto meno da dittatori e autocrati stranieri. Non ho preso finanziamenti per il partito da speculatori stranieri e intrallazzatori. Non ho mai incontrato un magistrato se non per ragioni di servizio. E non ero in Arabia a prendere soldi dall'assassino di Khashoggi». Tutto ciò per rivendicare la scelta di rompere con cotanto malfattore: «Non sono caduto nella fregatura di Renzi sul finto partito unico».

La risposta di Matteo Renzi è gelidamente sarcastica: «Se sono un mostro oggi, lo ero anche sei mesi fa quando serviva il simbolo di Iv per presentare le liste», ricorda al leader di Azione. «Se sono un mostro oggi, lo ero anche quando ho sostenuto Calenda come leader del Terzo Polo, come sindaco di Roma, come membro del Parlamento europeo. O addirittura quando l'ho nominato viceministro, ambasciatore, ministro». Renzi spiega: «Non replico a argomentazioni giustizialiste e grilline. Sul garantismo di chi paragona un avviso di garanzia a una condanna non ho nulla da aggiungere. Sull'arte politica di chi distrugge un progetto comune per la propria ira non ho nulla da aggiungere».

A replicare sono ovviamente i dirigenti di Italia viva: «Ormai Calenda sembra Travaglio, se non addirittura Dibba», dice Francesco Bonifazi. Roberto Giachetti parla di «un problema di incontinenza, ma anche di credibilità». Teresa Bellanova denuncia: «Sembra che qualche grillino abbia hackerato l'account di Calenda».

Ma se le reazioni dei renziani sono scontate, dentro Azione si registra smarrimento: «C'è incredulità e sconcerto - confidano dai ranghi calendiani - sapevamo che la strategia di Carlo era di arrivare alla rottura, ma evidentemente gli è sfuggita di mano. Così ci facciamo male tutti, ma Renzi ne esce meglio di noi». Il problema, spiegano, è che «non discute le sue scelte con nessuno, l'unico con cui si consulta è Andrea Mazziotti (ex Scelta Civica, ora vicesegretario di Azione, ndr) che è un brillantissimo avvocato d'affari, ma non sa nulla di politica». Niccolò Carretta, ex responsabile di Azione in Lombardia, da poco dimessosi, è durissimo con il leader: «Chi gli vuol bene lo fermi, e lo convinca a dedicarsi ad altro». Per tutto il giorno nessuno fiata, dal fronte calendiano. A sera, su richiesta del leader, parlano la presidente di Azione Mara Carfagna («Basta offese contro Calenda») e la portavoce Mariastella Gelmini.

Che però smorza le polemiche e chiede un disarmo bilaterale: «Le cose rotte, quando hanno valore, si prova ad aggiustarle, non si buttano», dice, invitando a «non disperdere» il sogno di un Terzo polo. E dunque a ricucire, «tanto nè noi nè Iv - ragiona un calendiano - possiamo permetterci di andar soli alle Europee: la speranza è l'ultima a morire».

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