Adesso per i magistrati Vannacci è pure razzista

La Procura di Roma indaga per "istigazione all'odio". Il generale: "Le opinioni non si combattono in tribunale"

Adesso per i magistrati Vannacci è pure razzista
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«Chi ha letto il libro sa che non vi è alcuna istigazione. E dovrebbe sapere che le idee e le opinioni si combattono sul piano delle argomentazioni e non con la censura o nei tribunali». Il generale Roberto Vannacci commenta così con il Giornale la decisione della procura di Roma di aprire un inchiesta per «istigazione all'odio razziale» in merito ai contenuti del suo libro «Il mondo al contrario». Difficile dargli torto. Chi lo ha denunciato nella migliore delle ipotesi non ha letto il suo libro. O non ha capito quanto ci sia scritto. Nella peggiore vuole punire un militare colpevole di esprimere idee diverse dalle proprie. Ma se questo è l'intento allora il concetto di giustizia di chi l'ha denunciato è assai peggiore delle idee espresse ne «Il mondo al contrario».

Anche per questo c'è da augurarsi che la denuncia non vada molto lontano. Sarebbe, infatti, triste constatare che si possano usare codici e tribunali per punire un ufficiale colpevole soltanto di aver messo nero su bianco le proprie opinioni. Rispettando, peraltro, quanto previsto dai codici militari ovvero il divieto di divulgare o commentare attività legate al proprio servizio. Ma partiamo dai fatti. Ieri il generale è stato convocato negli uffici della Digos di Roma. In quella sede gli è stato chiesto di indicare un domicilio dove ricevere gli atti relativi al reato di «istigazione all'odio razziale». L'inchiesta nasce da alcuni esposti presentati da associazioni di sinistra. Dunque si tratta di una denuncia di parte il cui obiettivo è colpire un militare colpevole di aver espresso un pensiero politicamente scorretto. E magari impedirgli di candidarsi alle elezioni europee nelle liste della Lega o di un altro partito.

Per comprendere l'irrilevanza del reato contestato a Vannacci, uno dei generali più qualificati del nostro esercito, bisogna partire dalla quarantina di pagine che compongono il terzo capitolo del libro. Nel capitolo intitolato «La società multiculturale ed etnica» Vannacci si limita a sviluppare una frase mutuata da Samuel P. Huntington il politologo statunitense autore del famoso saggio «Lo scontro di civiltà». Una frase del tutto priva di contenuti razziali o discriminatori. «Un Paese composto di più civiltà - scrive Huntington - è un Paese che non appartiene a nessuna civiltà ed è privo di un suo nucleo culturale costitutivo. La storia dimostra che nessuna nazione così costituita può durare a lungo come nazione coesa». Nel capitolo Vannacci racconta la curiosità e il candore di quando ancora ragazzino si trasferisce con la famiglia a Parigi e scorge per la prima volta nel metrò alcune persone di colore. «Fingevo - scrive - di perdere l'equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra». Cosa ci possa essere di razzista nel rievocare un ricordo d'infanzia è difficile da comprendere.

Ma ancor più difficile è capire quale sia il reato commesso da chi constata che differenze religiose e razziali sono all'origine delle contrapposizioni - spesso assai violente - presenti all'interno di società tipicamente multiculturali come quella americana o quella indiana. Concetti espressi anche dall'avvocato Massimiliano Manzi difensore del generale quando ricorda che «Vannacci non ha mai sostenuto la superiorità di una razza sull'altra».

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