Adesso Musk cinguetta in tribunale

Twitter reagisce al dietrofront del magnate: "Accordo da 44 miliardi vincolante"

Adesso Musk cinguetta in tribunale

L'uccellino canterà, probabilmente, in tribunale. Nello specifico alla Corte di giustizia del Delaware, dove si trova la sede di Twitter, uno dei social media più antichi ma anche economicamente fragili. Sembrerebbe questo il finale di un accordo che ha assunto i toni di una telenovela da quando Elon Musk, proprietario di Tesla e Space X nonché uomo più ricco del mondo, firmò lo scorso aprile un accordo vincolante da 44 miliardi di dollari per l'acquisizione del suo social network preferito, sul quale è assai attivo e conta oltre 100 milioni di follower.

Il pomo della discordia sarebbe il numero degli account di twitter falsi, i bot, che la società aveva stimato essere del 5 per cento, cifra che non convince i legali di Musk, i quali con una comunicazione alla Sec hanno messo in discussione l'accordo citando appunto l'incapacità di individuare il numero di account fasulli. Ma l'uccellino, in difficoltà da tempo e che aveva visto Musk come il principe azzurro arrivato a salvare i conti, non ci sta.

In un tweet Bret Taylor, presidente di Twitter, ha dichiarato che l'azienda è intenzionata a portare a termine l'accordo: lo deve ai suoi azionisti. «Il Consiglio di amministrazione di Twitter è impegnato a chiudere la transazione al prezzo e alle condizioni concordate con Musk e intende intraprendere un'azione legale per far rispettare l'accordo di fusione. Siamo fiduciosi che avremo la meglio nella Corte di giustizia del Delaware».

Prezzo e condizioni, dunque. Potrebbe essere questo in fondo lo scopo di Musk: più che ritararsi l'accordo firmato prevede in quel caso una multa di un miliardo di dollari pagare di meno. Considerando che da aprile le azioni di Twitter sono crollate di più del 20 per cento a un prezzo molto inferiore a quei concordato da Musk di 54,20 dollari e secondo Bloomberg hanno perso il 9% solo nel trading post-chiusura della Borsa dopo l'annuncio del ritiro dell'offerta. Il più ricco che tira sul prezzo non è una novità del resto: lo aveva già fatto a settembre 2020 il colosso del lusso LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton facendo causa per ritirarsi dall'acquisizione di Tiffany & Company e riuscendo a ridurre il costo dell'operazione di circa 420 milioni di dollari.

Difficile secondo gli esperti infatti dimostrare che gli account falsi diminuiscano il valore della compagnia, che del resto ha dichiarato proprio giovedì scorso di avere intensificato gli sforzi per individuare e bloccare quegli stessi bot che la Russia ha utilizzato per influenzare le elezioni presidenziali statunitensi del 2016,

arrivando a bloccarne un milione al giorno.

Sullo sfondo, le difficoltà che stanno avendo anche le aziende tech tra pandemia, guerra e recessione. Anche i ricchi piangono, o quanto meno perdono, in Borsa o in tribunale si vedrà.

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