Continuare i trattamenti sarebbe «scorretto e disumano». Con questa motivazione l'Alta Corte di Londra ha stabilito, con il via libera all'ospedale pediatrico di Liverpool in cui il piccolo è ricoverato, di staccare la spina a un bimbo di 21 mesi che soffre di una malattia neurologica degenerativa non del tutto diagnosticata. E di farlo contro la volontà dei genitori. Per la seconda volta in pochi mesi la Gran Bretagna rivive la tragedia del piccolo Charlie Gard, affetto dalla sindrome di deplezione del Dna mitocondriale, deceduto il 28 luglio scorso dopo che le macchine con le quali rimaneva in vita sono state staccate per volontà di un giudice.
Stavolta il caso riguarda Alfie Evans, 21 mesi, di Bootle, contea del Merseyside, vicino a Liverpool, Nord dell'Inghilterra. I genitori Tom Evans e Kate Jones, entrambi ventenni, hanno tentato in tutti i modi di prolungare la vita del proprio piccolo e - come per il caso di Charlie - avevano proposto di sottoporlo a un trattamento all'ospedale Bambino Gesù di Roma. Nulla di fatto. A inizio mese, i giudici della Liverpool Civil and Family Court avevano già stabilito che Alfie si trovasse in «stato semivegetativo» e che avesse bisogno di «pace, quiete e privacy». Al momento del pronunciamento dell'Alta Corte, la mamma del piccolo ha deciso di lasciare l'aula mentre il papà è crollato in un pianto senza consolazione. Poi ha spiegato: «Ho bisogno di tempo per riflettere sul giudizio», ha detto papà Tom, sorretto da un gruppo di sostenitori che in queste settimane hanno fatto una campagna per aiutare la famiglia a vincere la propria battaglia e che ieri si sono ritrovati fuori dall'ospedale in segno di solidarietà. I genitori di Alfie stanno valutando se fare appello contro la decisione dell'Alta Corte, alla quale si era rivolto l'ospedale per avere una risposta definitiva sulla sorte del bimbo.
L'Alder Hey's Children Hospital, dove Alfie è ricoverato, ha precisato che continuerà a lavorare a fianco della famiglia perché il bambino possa avere le cure palliative «più appropriate» in attesa dell'addio in «un momento molto difficile». «Sfortunatamente, certe volte ci sono situazioni come questa in cui non è possibile raggiungere un accordo e la squadra di cura del piccolo è convinta che un trattamento attivo e continuativo non sia nel miglior interesse del bambino».
Il caso rischia di riaprire inevitabilmente il dibattito sul fine vita. Alla fine dello scorso luglio i genitori di Charlie si erano arresi e avevano dovuto rinunciare alla battaglia legale per farlo curare negli Usa.
«È troppo tardi», avevano detto alla vigilia dell'udienza all'Alta Corte di Londra e ritirato di conseguenza «la richiesta di modificare la sentenza originale della Corte», quella che pochi mesi prima autorizzò l'ospedale a staccare la spina al respiratore che teneva in vita il piccolo al Great Ormond Street, l'ospedale pediatrico di Londra dove Charlie era in cura.
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