Sono passati 35 anni dalla strage di Bologna, che provocò 85 morti e 200 feriti, ma in nessuna aula di giustizia, nonostante la sentenza di colpevolezza, sono state presentate prove che, al di là di ogni ragionevole dubbio, confermino la responsabilità di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Daniele Benedini, difensore degli ex terroristi dei Nar ne è convinto, ma dubita che la sentenza possa essere ribaltata: «Finché non ci sarà una pista alternativa che sia soddisfacente dal punto politico-ideologico non sarà possibile una revisione del processo. Se la sentenza fosse stata emessa dopo il 2006, quando è stato rinnovato l'art. 533 del Codice di procedura penale, forse sarebbe stata diversa». Che cosa dice l'art. 533? «Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». E qui di dubbi ce ne sono tanti.
IL PENTITO
La sentenza di condanna si regge sulla credibilità di Massimo Sparti, il teste che affermava di aver incontrato Fioravanti a Roma il 4 agosto, due giorni dopo la strage. L'ex terrorista si sarebbe vantato con lui dicendogli «visto che botto?» e facendogli intendere di esserne stato l'autore. La presenza di Sparti a Roma in quei giorni però è smentita dalle testimonianze della moglie, della suocera e della domestica. Tutte e tre hanno dichiarato che era in vacanza a Cura di Vetralla (Viterbo), da dove non si era mai mosso. Perché mai avrebbero dovuto mentire? Eppure i giudici non ne tengono conto. Chi era Sparti? Un detenuto per reati comuni che, dopo la sua decisiva testimonianza, è ricoverato in una struttura ospedaliera carceraria a Pisa. Gli viene diagnosticato un tumore terminale e ottiene la libertà. «Ma Sparti ha campato per altri 20 anni ed è morto per una malattia diversa. La sua cartella clinica è andata distrutta, non si sa bene come», spiega l'avvocato Benedini. Il dirigente sanitario del carcere di Pisa, Francesco Ceraudo, è rimosso dall'incarico perché ha rifiutato di certificare la malattia di Sparti. Nella sua deposizione al processo, dice ironicamente che la «misteriosa e improvvisa guarigione di Sparti» è attribuibile al miracolo di qualche santo e inspiegabile scientificamente.
L'ALIBI
Mambro e Fioravanti hanno sempre ripetuto che il 2 agosto erano a Treviso in compagnia di Gilberto Cavallini, ex terrorista dei Nar. Flavia Sbrojavacca, compagna di Cavallini, conferma che hanno dormito a casa sua e che sono usciti verso le 8,30 del mattino assieme al compagno per poi tornare all'ora di pranzo. Sono andati a Padova perché Cavallini aveva un appuntamento per questioni di armi con Carlo Di Gilio. «Di Gilio è uno dei testi chiave per la strage di piazza Fontana, quindi credibilissimo, e ha dato anche il suo contributo nell'inchiesta sulla strage di piazza della Loggia. In questo caso i giudici però la pensano diversamente», afferma Benedini. Di Gilio conferma in udienza l'arrivo a Padova di Cavallini, anche se poi non riesce a incontrarlo. «Sulla presenza di Mambro e Fioravanti a Treviso e a Padova la mattina del 2 agosto 1980 ci sono pochi dubbi», dice il difensore. Ma nessuno ne tiene conto. Nel novembre '80, Cavallini abbandona sul luogo di una sparatoria l'auto della compagna e la Sbrojavacca fugge all'estero. La madre della ragazza (Maria Teresa Brunelli) viene subito interrogata e dichiara che la Mambro in quei giorni era Treviso, non ricorda Fioravanti ma presume che fosse con lei. La figlia latitante rientra in Italia tre anni dopo e si costituisce.
Nell'interrogatorio dichiara che il 2 agosto Mambro e Fioravanti erano a Treviso. Mentre lei è in carcere, la madre viene reinterrogata e, dopo una pausa di riflessione, verbalizza di non rammentare bene i fatti di quei giorni: non smentisce la prima deposizione ma non conferma. Il giorno dopo la figlia esce dal carcere. Coincidenza? La Sbrojavacca però continua a ribadire la sua versione in Corte d'assise: Fioravanti e Mambro erano a casa sua. «Ci siamo lasciati alle 8,30 perché dovevano andare a Padova e sono tornati all'ora di pranzo».
La difesa chiede più volte che figlia e madre siano messe a confronto. Ma l'accusa risolve il mistero affermando che la madre non conferma l'alibi degli imputati e che la figlia mente. Se fosse così, perché la procura non ha incriminato la Sbrojavacca per falsa testimonianza o addirittura per concorso in strage? «La Corte d'appello di Bologna, nella sentenza definitiva, scrive una frase incredibile sulla presenza di Fioravanti e Mambro a Treviso in quei giorni», dice l'avvocato Benedini, che riporta testualmente: «In quali altri luoghi siano stati gli imputati, con quali mezzi si siano spostati, con quale successione siano avvenuti gli spostamenti non è dato di sapere». Di fatto la Corte dichiara di non sapere dove fossero il giorno della strage. Ma, se non lo sanno, come possono affermare, contraddicendosi, che erano a Bologna?
IL NUOVO TESTIMONE
«Abbiamo sentito anche un altro teste, su cui manteniamo il riserbo, che non ha mai deposto. Ma questo non permetterebbe la revisione del processo perché, come non hanno ritenuto credibili le tre donne su Sparti, lui sarebbe messo sullo stesso piano. Abbiamo verbalizzato la sua testimonianza, ma non vogliamo esporlo a rischi, pressioni e intrusioni nella sua vita privata», spiega Benedini. «Se emergessero nuove circostanze, il nostro teste potrebbe essere importante per la revisione, ma dovremmo trovare un'altra pistola fumante. Se accadesse, siamo pronti».
D'altronde Mambro e Fioravanti non sono fortunati come Adriano Sofri, condannato per l'omicidio del commissario Calabresi, che ha potuto godere di ripetute revisioni del processo. I due militanti dei Nar hanno una mezza dozzina di ergastoli sulle spalle, uno in più non avrebbe cambiato di una virgola la loro situazione. «Oggi hanno la legittima pretesa di essere scagionati da quest'accusa», spiega il loro difensore. «Di tutti i personaggi coinvolti solo Mambro e Fioravanti sono stati condannati. E poi Luigi Ciavardini, in seconda battuta perché all'epoca dei fatti era minorenne. In un ordinamento civile sarebbero stati assolti definitivamente. Non ci sono mandanti né esecutori: nessuno ha mai dimostrato che loro fossero a Bologna quel giorno, né come avessero acquisito l'esplosivo e da chi, né per quale movente politico fosse stato compiuto l'attentato».
LA PISTA PALESTINESE
L'ex presidente Francesco Cossiga, premier all'epoca della strage, ha sempre sostenuto l'innocenza dei due ex terroristi. Nel 2005 ha scritto una lettera al deputato Enzo Fragalà (che sarà poi assassinato nel 2010), membro della commissione Mitrokhin, nella quale avvalorava la tesi che dietro l'attentato ci fosse il Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina). La procura di Bologna apre così un'inchiesta, durata nove anni, ma il 30 luglio 2014 chiede l'archiviazione. Gli indagati erano i terroristi tedeschi Thomas Kramm e Krista Margot Frohlich, presenti a Bologna proprio il giorno della strage. Attivisti dell'ultrasinistra tedesca ed esperti di esplosivi, militavano inizialmente nelle Revolutionare Zellen (cellule rivoluzionarie), poi nel famigerato gruppo Carlos. Insomma, due pericolosi terroristi sono a Bologna il 2 agosto e si indaga su di loro solo 25 anni dopo?
La stessa procura ammette che è passato troppo per trovare la pistola fumante. Inoltre, non si può provare l'esistenza del «lodo Moro», il patto tra il nostro governo e i palestinesi in base al quale loro non avrebbero compiuto attentati in Italia in cambio dell'immunità per il transito e il deposito di armi sul nostro territorio. Ma trattandosi di diplomazia parallela, tra un governo e un gruppo guerrigliero, secondo i magistrati manca il riscontro oggettivo. Eppure il «lodo Moro» è avallato da numerosi esempi d'impunità per diversi terroristi palestinesi arrestati. Com'è accaduto nel 1979, quando Abu Anzeh Saleh, responsabile in Italia del Fplp, è catturato a Ortona assieme a tre esponenti di Autonomia operaia con due lanciamissili sovietici Sam-7. L'unico a uscire dal carcere dopo la prima condanna è Saleh, ma dopo la strage di Bologna. «La pista palestinese non sembra più percorribile. Cossiga ha detto la verità ma non ha raccontato tutto quello che sapeva», afferma il legale di Mambro e Fioravanti. «Quello che m'interessa oltre la loro innocenza è anche l'etica del processo, quella della prova, non l'etica del convincimento che può essere influenzato da pregiudizi ideologici o da pressioni ambientali. Per questo io contesto la sentenza».
Impossibile sintetizzare 300mila pagine di atti processuali e portare alla luce tutte le zone d'ombra.
Resta il fatto che ci siamo imbattuti in indizi che diventano prove, in testimoni attendibili in altri processi ma non in questo, in pentiti miracolati e in contraddizioni evidenti. In base a questi elementi possiamo affermare che Fioravanti e Mambro siano colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio? La risposta è semplice: no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.