Prima il Covid-19, ora la guerra in Ucraina. Lo scenario macroeconomico globale sta evolvendo in maniera differente rispetto alle previsioni e, purtroppo, in peggio. È quanto ha sottolineato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ieri a Roma in un convegno organizzato da Il Mulino ricordando che le stime della Banca Mondiale sugli effetti della pandemia sulla povertà assoluta «dicono che entro la fine dell'anno ci saranno oltre 100 milioni di persone che torneranno in stato di povertà estrema». E se l'Istat ha di recente certificato che alla fine dell'anno scorso erano 5,6 milioni gli italiani sotto la soglia di povertà, secondo il Centro studi Unimpresa questo valore nel 2022 potrebbe toccare quota 10 milioni creando un serio problema alle prospettive di sviluppo del Paese. In particolare, in Italia, secondo Visco, si è registrato un forte arretramento dei redditi, tanto che nel 2019 questi erano ai livelli di inizio secolo con un aumento delle famiglie definite in povertà assoluta. Questa condizione «aumenta la crescita del disagio e un ristagno delle opportunità».
«L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia sta mettendo a repentaglio l'assetto economico e finanziario internazionale», ha aggiunto il governatore evidenziando che «l'integrazione dei mercati e la stessa cooperazione multilaterale sono oggi, chiaramente, più incerti; persino la pace nel nostro continente rischia di essere compromessa». Insomma, siamo a «un punto di svolta le cui conseguenze sono difficili da prevedere sia sul piano economico, sia su quello politico e sociale». Al momento, anche se finora Via Nazionale non ha fornito cifre ufficiali, è che la crescita del Pil italiano nel 2022 sarà inferiore alle aspettative del governo (un +4,7% che probabilmente sarà rivisto in sede di Def a un più contenuto +3%) e che la stessa continuità di molte imprese potrebbe essere messa a repentaglio dall'incremento dei prezzi energetici con il conseguente aumento del tasso di disoccupazione.
«L'attenzione si sta spostando inevitabilmente su temi quali la sicurezza energetica, la capacità di far fronte alla interruzione di fornitura - ad esempio - di gas con il razionamento, la necessità di diversificare», ha proseguito Visco rimarcando che il rischio è rappresentato da «accentuate regionalizzazioni con minor movimento di persone, merci, capitali e investimenti produttivi più bassi, incertezza per la domanda futura e un più lento progresso tecnologico». Queste nuove sfide si vanno ad aggiungere a quelle poste dalla transizione green e «possono renderla più ardua».
Il governatore ha così sottolineato l'esigenza di un mutamento di paradigma perché questo susseguirsi di crisi senza soluzione di continuità, soprattutto in Italia ma anche nel resto dell'Occidente, è il risultato di scelte politiche non ottimali. Ecco perché il Pnrr deve rappresentare l'opportunità di colmare quel gap formativo e di produttività che da troppo tempo affligge il nostro Paese. A fronte dei «cambiamenti degli anni '90 come l'apertura dei mercati» molte imprese hanno risposto «abbassando i costi di produzione, riducendo quelli del lavoro ma non hanno fatto investimenti», ha puntualizzato il numero uno di Palazzo Koch.
È tutto un modello di sviluppo a essere profondamente inefficiente. Visco ha puntato l'indice contro le disfunzionalità della nostra economia: una eccessiva dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti energetici e un sistema produttivo che ha demandato l'organizzazione anche relativamente a beni di prima necessità all'unico parametro dell'economicità senza tenere al proprio interno tutte le filiere ove possibile. A questo si aggiungono «lavori precari», mancanza di opportunità per giovani e donne e «sbilanciamento sulle pmi» che sono meno competitive a livello internazionale.
Il primo passo da compiere, però, è la formazione. «Occorre puntare sulla scuola, dove gli indicatori di apprendimento e di titoli conseguiti dei nostri studenti ci vede nettamente arretrati rispetto ai partner più industrializzati», ha concluso il governatore.
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