O li ha atterriti l'idea di ascoltarlo per altri 73 minuti sul Mes o li ha spaventati il pensiero di una nuova rovina a ridosso delle feste: «In pratica due sciagure» riconosce un giovane onorevole del M5s. Anche questa volta ha così vinto Don Abbondio e la risoluzione è stata quella di disertare l'aula. Indecisi se applaudire Giuseppe Conte o assentarsi strategicamente, i parlamentari di Pd e M5s, nella giornata in cui si doveva votare sul Salva-Stati, hanno scelto alla fine di ripararsi sotto le coperte. E infatti, quando l'orologio segnava le 11, e alla buvette erano già comparsi i primi tramezzini, l'emiciclo vacante consentiva al deputato leghista, Igor Iezzi, di scattare e diffondere la foto che è ormai il vero classico dell'arte contemporanea, più delle renne di Banksy o della banana incerottata di Maurizio Cattelan. Didascalia: «Parla Conte e non lo ascolta neppure la sua maggioranza». Giorgio Mulé, deputato di Forza Italia, accusa Filippo Sensi del Pd, che ultimamente si è specializzato in queste opere (vedi foto Decreto sisma), di non avere realizzato una replica: «Questa volta avrebbe dovuto ruotare il telefono e farsi un selfie». E sarà sicuramente per stemperare il clima o forse perché è rimasta la sua unica fede (ormai trova più conforto nel Napoli che in Beppe Grillo) che il presidente della Camera, Roberto Fico, decide di intrattenersi con i giornalisti e scherzare sulla notizia del giorno. Parla del Mes, presidente? «No! Parlo di Gattuso. Prima va al Senato e poi viene alla Camera da me». Sorrisi istituzionali. Ignoti sono invece i movimenti di Luigi Di Maio, assente. Gli allibratori lo danno chi bloccato in auto, chi in tour elettorale, chi a scambiarsi sms con Matteo Salvini che non dovendo intervenire alla Camera, trascorre la mattina a fare shopping con Francesca Verdini (alle 15 si salutano a pochi metri dal Senato: «Mi chiami dopo?» chiede lei). Per dare dunque conforto ai pochi soldati presenti del M5s si rivede alla Camera l'ex ministro della Cultura, Alberto Bonisoli, convinto della necessità di stilare, prima possibile, un contratto di «almeno trenta pagine, almeno. Come abbiamo fatto con i nostri ex amici». Si riferisce ai leghisti che sono euforici come non mai e tutti capitanati da Claudio Borghi con delle basette austriache e con ben due anelli d'oro che fanno brillare perfino la sua oratoria. Provocato da Conte, che lo ha rimproverato di terrorismo mediatico, si scatena infischiandosene dei richiami. In versione Émile Zola, Borghi rievoca «il calpesti e derisi», smonta la logica del pacchetto da lui ritenuto «nient'altro che una scemenza». In piena foga agonistica rivolge al premier l'epiteto di «traditore della patria» prima di urlare: «Dicendo di averci informato, lei ha umiliato e offeso anche Di Maio, che le sedeva accanto imbarazzato. Ma chi credeva di prendere in giro? Il mandato che ebbe era uno: l'Italia non avrebbe mai firmato quel Trattato». L'affondo è tanto duro che anche Borghi, in debito d'ossigeno, e di calorie, deve correre subito dopo ad addentare una brioche, sovranista. A sostituirlo ci pensa allora Fdi con Federico Mollicone che, per preparare la strada a Giorgia Meloni, inizia con un sobrio: «Vi siete venduti l'anima» mimando anche un naso da pagliaccio. Il resto è un altro efficacissimo intervento della leader di Fdi: «Siamo rinchiusi dentro una botola». Per rendere tutto più verosimile, con il tono piagnucolante, aggiunge: «Parlate del buio del sovranismo.
Ma perché dobbiamo usare i soldi degli italiani per aiutare le banche tedesche? Il Mes non va sottoscritto. Chiaro?». E sono applausi, ma che anticipano solo la noia e gli sbadigli. Alle 15, la giornata che era iniziata come storica era infatti già stata ridimensionata a ordinaria.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.