I razzi partono come saette, all'improvviso, uno dopo l'altro, dai sobborghi di Tiro, vicino al mare. Il fruscio metallico che fende l'aria è terrificante. Una cinquantina di razzi lanciati da Hezbollah schizzano verso il cielo in direzione di Israele. Fra il fumo bianco che li avvolge mentre si alzano, con un'inclinazione di 30 gradi, si notano le fiammate in partenza. I giannizzeri iraniani sono più minacciosi che mai. Le forze di Difesa israeliane ci mettono una ventina di minuti per individuare la zona di lancio e rispondere al fuoco con un bombardamento massiccio che solleva un'enorme nuvola di fumo bianco e grigio. I lanciatori si sono già dileguati per preparare il prossimo attacco.
Il resort sul mare, che ospita un pugno di giornalisti, è un ottimo punto di osservazione della guerra nel Sud. Di fronte, a pochi chilometri in linea d'aria, si nota la collina di Shama, dove si trova base Millevoi, che ospita il migliaio di caschi blu della brigata Sassari. Il Giornale ha visto delle foto, che non sono state autorizzate per la pubblicazione, della gigantesca esplosione di una bomba sganciata, ieri, dagli israeliani a 200 metri al massimo dalle tettoie della base italiana. Ieri mattina «per la seconda volta nelle ultime 48 ore, il quartier generale dell'Unifil a Naqoura è stato colpito da esplosioni» denuncia la missione Unifil in Libano. «Due peacekeeper sono rimasti feriti nei pressi di una torre di osservazione» rivela l'Onu da proiettili sparati dagli israeliani. I carri Idf hanno tirato cannonate e colpi di artiglieria nei pressi del quartiere generale a Naqoura. Di nuovo la base 1-31, solitamente presidiata dagli italiani, è finita sotto tiro a Labbouneh. «Un bulldozer ha abbattuto sezioni di un muro di protezione» e due caschi blu dello Sri Lanka sono rimasti feriti. Uno in maniera seria. Sul posto è arrivata la Forza di reazione rapida dei caschi blu. La linea dell'Idf è che «i terroristi e le loro infrastrutture si trovano nelle immediate vicinanze delle postazioni Unifil, colpiti per errore». Il fallimento 'Onu non giustifica che si apra il fuoco sui caschi blu.
Tiro, la città meridionale a ridosso della prima linea, è deserta. Fra spazzatura abbandonata, negozi chiusi e case vuote girano solo le giovani «vedette» di Hezbollah in sella ai motorini. In un quartiere pesantemente colpito dagli israeliani, con macchine distrutte e palazzi sventrati, spicca uno striscione nuovo di zecca di Hezbollah. La scritta in arabo non lascia dubbi: «Le nostre case, il nostro sangue sono pronti per il sacrificio». Nella terapia intensiva dell'ospedale Hiram, due feriti in coma sono monitorati da un giovane medico. «Le esplosioni hanno provocato fratture al cranio e bruciature su gran parte del corpo. Speriamo di salvarne almeno uno» spiega Hassan Isa in camice blu.
Sulla banchina del porto spicca la statua bianca della vergine Maria. Molti pescatori sono cristiani e vivono nel quartiere attorno, pieno di campanili con la croce. Purtroppo sono rimasti in pochi: «Non saprei dove andare, ma è un disastro. Non possiamo neppure uscire in mare» spiega rassegnato un anziano. Gli israeliani hanno accuratamente evitato di colpire il quartiere, ma su 5mila cristiani sono rimaste solo 140 famiglie. Fra i vicoli che penetrano nella parte antica e musulmana della città spiccano le bandiere nere con la scimitarra rossa di Hezbollah. Droni e caccia hanno accartocciato almeno 8 case una accanto all'altra. Fra le macerie ci sono giocattoli di bambini, ma pure anfibi militari e resti di uniformi mimetiche.
In uno dei rari caffè aperti, accanto a una palazzina accartocciata dalle bombe, incontriamo Hassan Manna. Il bombardamento l'ha vissuto da vicino, ma non vuole andarsene: «Piuttosto, con i miei figli, preferisco morire».
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