L'ultimo studio della Cgia di Mestre alza il velo su una realtà ben nota a quanti non siano prigionieri di ottusi pregiudizi, mostrando che la categoria sociale più fragile è ormai quella dei lavoratori autonomi. Un quarto di coloro che hanno una partita Iva, infatti, si trova oggi al di sotto della soglia di povertà (fissata sui 9.500 euro all'anno) e tale percentuale è superiore a quella che riguarda i lavoratori dipendenti (poveri nel 14,6% dei casi) o dei pensionati, al di sotto di quel livello per il 20,9%. La situazione sta per giunta peggiorando sempre più, poiché nel periodo 2010-2014 il numero delle partite Iva in difficoltà è cresciuto del 5,1%.Tutto questo si spiega. Innanzi tutto è chiaro che la crisi ha colpito soprattutto quanti vivono sul mercato e del mercato, così è sempre meno credibile la tesi che faceva degli autonomi una gran massa di cinici egoisti, che diventavano sempre più ricchi senza contribuire in alcun modo alla crescita della società.
È inoltre tenere presente che questi lavoratori non possono contare, in caso di difficoltà, su integrazioni di reddito o indennità di disoccupazione e quindi, nel momento in cui la loro attività artigiana o commerciale segna il passo, sono privi di tutela.Più in generale va aggiunto come l'area delle piccole e piccolissime imprese, non di rado individuali, sia assai debole politicamente. Di norma i governanti italiani sono assai più ben disposti a sostenere i lavoratori dipendenti, da un lato, e le grandi imprese, dall'altro. E non deve stupire il fatto che la classe politica sia orientata a interpretare gli interessi più facilmente rappresentabili e le corporazioni più forti. La conseguenza, però, è che l'artigiano e il piccolo commerciante risultano scoperti, finendo per pagare un conto salato a favore di altri gruppi.Per giunta, le partite Iva sono sempre più sospinte verso la povertà da un processo storico che sta portando la pressione fiscale sulle imprese a crescere di continuo, mentre il sistema regolativo diventa giorno dopo giorno più minuzioso, farraginoso, barocco. Tante microaziende italiane sono costrette a chiudere da un Leviatano che ha sempre più bisogno di soldi e pretende di regolare l'economia in ogni dettaglio.Questi imprenditori di se stessi ormai ridotti in povertà appaiono pure privi di una vera rappresentanza sociale che chieda con forza meno imposte, meno spesa pubblica, meno regole.
Al contrario, le loro stesse organizzazioni di categorie sembrano impegnate a rincorrere i sindacati e la Confindustria in un gioco che può vederli solo perdenti. In linea di massima, quanti fanno gli idraulici o vendono abiti non vogliono leggi protettive e avverse al mercato, ma in primo luogo desiderano che il «socio occulto di maggioranza» (lo Stato) ritragga quanto più è possibile la propria mano e li lasci lavorare.I dati della Cgia mestrina ci obbligano certamente a prendere atto di quanto sia vasto il disagio sociale tra i lavoratori autonomi, ma questo non è tutto. Essi costringono pure a prendere atto come da tempo vi sia in Italia pure una sorta di «lotta di classe» tra i lavoratori protetti essenzialmente nel settore pubblico e quelli no. Senza il parassitismo di larga parte della società italiana, che può disporre di risorse prodotte da altri, le condizioni dei lavoratori autonomi sarebbero decisamente migliori.
In troppe circostanze, allora, i lavoratori autonomi non sono soltanto i nuovi poveri, ma sono tali perché sono i «nuovi sfruttati» da quell'alleanza tra potere pubblico e partito della spesa che sta togliendo loro ogni possibilità di intraprendere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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