Altro che tesoretto, il Def è da rifare

I tecnici di Camera e Senato: rischio manovra da 6 miliardi

Altro che tesoretto, il Def è da rifare

Roma - Sul Def di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, il Documento di economia e finanza, architrave della politica economica dei governi, cade un'altra tegola. A spostare il faro su cifre che non tornano e mine che non sono state disinnescate, questa volta sono stati il servizio Bilancio di Camera e Senato. Gli uffici tecnici che preparano i lavori parlamentari hanno sottolineato in particolare che il rischio di una manovra correttiva è concreto e che l'aumento dell'Iva da 70 miliardi non è scongiurato.

«Nel caso in cui lo Stato non attui le riforme concordate» con l'Europa saremmo obbligati a fare «una correzione dell'indebitamento netto strutturale dello 0,5% (a fronte dello 0,1 previsto), riportando quindi il pareggio del bilancio strutturale al 2016». Tradotto in soldoni, se non seguiamo alla lettera le indicazioni dell'Ue ci sono già sei miliardi di tagli o maggiori tasse da mettere in conto.

Il governo assicura che farà riforme in grado di accontentare Bruxelles? I tecnici di Montecitorio e Palazzo Madama, sono scettici sull'attuazione del Jobs Act, detassazione della contrattazione di secondo livello e, soprattutto, privatizzazioni. Capitoli che ci vedono in ritardo rispetto alla tabella di Bruxelles. Nodi da sciogliere come il famoso tesoretto che non è un malloppo da spendere, visto che la scelta avrà effetti «non secondari» sul bilancio.

Poi ci sono le agevolazioni fiscali. La famosa giungla di tax expenditures secondo i Servizi parlamentari del bilancio nella versione riportata nella ultima legge di stabilità varrebbe 161 miliardi, il 10% del Pil. Gettito che viene sottratto alle casse dello Stato. Una massa di agevolazioni stratificate negli anni, cresciuta di governo in governo. L'esecutivo Renzi si ripromette di tagliarne una parte, 2,4 miliardi. I tecnici non commentano, ma l'obiettivo non ambizioso.

Ma il rischio più grosso viene dagli aumenti dell'Iva. Che restano a bilancio. Sono circa «16,1 miliardi nel 2016, 25,5 miliardi nel 2017 e 28,3 miliardi a decorrere dal 2018». Servono a coprire il mancato aumento delle aliquote Iva fino al 13% e al 25,% per cento. Sono 70 miliardi.

«Importi consistenti, la cui neutralizzazione», occupa «parte non secondaria» degli obiettivi di taglio della spesa. Come dire, questo sì che è un obiettivo difficile da raggiungere. L'aumento dell'Iva sta ancora lì, come dicono i gufi.

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