Avrebbe partorito a metà mese. Ma la creatura che portava in grembo è morta a un soffio dalla luce.Ancora un dramma in ospedale. A Piacenza una ventitreenne di nazionalità albanese, sposata con un connazionale di 26 anni, è stata colpita dal dolore più grande per una madre: perdere un figlio. Un lutto che diventa un altro grano del rosario di morti che, da un paio di settimane a questa parte, si stanno verificando a macchia di leopardo e con impressionante frequenza nei punti nascita sparsi per la Penisola.
Tante storie, tra loro diverse, ma legate da un filo nero che l'Asl piacentina prova a spezzare offrendo la propria versione dei fatti. «Nel corso della gravidanza sottolinea la direzione generale la donna è stata visitata 7 volte e sottoposta a tre ecografie. Il 31 dicembre, durante la visita di presa in carico al centro nascita, sono stati eseguiti gli esami previsti, tutti risultati nella norma, ed è stato fissato il giorno per il parto cesareo». Ma nella notte del 3 gennaio, «dopo che la madre si è presentata al reparto comunicando che da alcuni giorni non avvertiva più i movimenti del feto, gli accertamenti hanno permesso di porre diagnosi di morte fetale». Molti, però, i dubbi nutriti dai familiari della donna, che hanno presentato denuncia. Per questo la parola passa adesso agli inquirenti: la Squadra Mobile ha già avviato le indagini, sequestrando la cartella clinica, mentre il sostituto procuratore Michela Versini ha disposto l'autopsia sul feto.Come che stiano le cose, resta il dato.
Inoppugnabile: nel Belpaese il parto uccide. Nei giorni scorsi avevano fatto rumore i casi verificatisi tra Natale e Capodanno a Brescia, Bassano del Grappa, Vicenza e Torino, dove quattro partorienti avevano perso la vita insieme al feto. Il ministro della salute aveva risposto con un'ispezione. Una delle tante promosse negli ultimi tempi da Beatrice Lorenzin per far luce su vicende che si ripetono uguali a se stesse. Certo, l'Oms smentisce gli allarmismi e attesta: la mortalità nelle sale parto italiane è tra le più basse del mondo. 4 decessi ogni 100mila nati. Agli stessi livelli di Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti. Eppure, i conti non tornano. Secondo il rapporto «Mamme in arrivo», pubblicato da Save the children nel 2015, «nel nostro Paese i punti nascita sono 521 ed un terzo di essi può essere considerato fragile in termini di sicurezza assistenziale, sia perché non vi si effettuano con regolarità parti naturali, sia per insufficiente disponibilità di personale medico/ostetrico e di servizi di trasporto materno e neonatale».
Un quadro, insomma, in cui non mancano ombre, pesanti e minacciose, come del resto conferma l'Istituto Superiore di Sanità, per il quale negli ultimi due anni - al netto delle recenti tragedie post natalizie - sono state un centinaio le giovani che sono passate dal reparto di ostetricia all'obitorio, da sole o coi loro feti. Cifre che, incrociate con quelle fornite dal Centro nazionale di sorveglianza e promozione della salute, relativo alle regioni (non tutte) coinvolte nel progetto pilota di sorveglianza della mortalità materna, restituisce un esito che si commenta da sé: tra le cause di morte prevalgono emorragie ostetriche, sepsi e malattie infettive. Sempre più numerosi, quale prezzo da pagare al progresso, gli episodi di complicazioni di gravidanze indotte mediante tecniche di procreazione medicalmente assistite. E poi l'amarissimo calice: parte dei decessi «sono da associare ad assistenza inappropriata ed esito evitabile».
Tradotto nella crudezza dei numeri: all'incirca un terzo dei lutti non si sarebbe verificato se la qualità dei servizi ospedalieri fosse stata adeguata. Non di solo fato si continua a morire negli ospedali d'Italia. Qualcuno avvisi il ministro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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