È un incompreso paladino del commercio mondiale, come fece credere al Forum di Davos del 2017, o uno spregiudicato signore neo-comunista pronto a tutto pur di controllare un miliardo e 400 milioni di sudditi e inseguire un dominio mondiale amabilmente spacciato per «sogno cinese»? Probabilmente il 66enne presidente cinese Xi Jinping è l'uno e l'altro. Per lui commercio e affari sono l'arma migliore per controllare il globo. Soprattutto se sulla loro scia si costruiscono portaerei e basi militari.
Prima di diventarne soci meglio dunque ricordarne atti e misfatti. A partire dalla brutale campagna anti-corruzione con cui nei primi cinque anni di potere ha indagato 2milioni e 700mila funzionari mandandone a processo più di 58mila e facendo piazza pulita di tutti i nemici interni. Non pago del repulisti nel 2018 Xi ha varato la «Commissione di Supervisione Nazionale» che vigila su imprese e semplici cittadini.
Un Grande Fratello custode, si dice, dei segreti sulla scomparsa del capo dell'Interpol Meng Hongwei volatilizzatosi dopo un improvviso richiamo in patria. Xi del resto non ha fama di bonaccione. Con lui al comando è stata varata la costruzione dei campi d'internamento in cui sono detenuti secondo Amnesty - un milione di Uighuri, la minoranza musulmana accusata di minacciare la stabilità interna.
Nel 2017 fu lui a dir «no» alla scarcerazione e al trasferimento all'estero dell'agonizzante premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo, malato di cancro e condannato a 11 anni di galera dopo la firma di un manifesto sui diritti umani. Del resto il famigerato «documento 9» adottato dal Partito dopo la nomina di Xi a segretario dichiara guerra a sette esecrati valori occidentali come democrazia costituzionale, diritti umani, società civile, neo liberalismo e indipendenza dei media. E mentre su internet viene drasticamente ristretta la circolazione delle idee i blogger colpevoli di condividere più di 500 contenuti vietati rischiano fino a tre anni di galera. Per non dimenticare la guerra a Winnie the Pooh, il paffuto orsacchiotto messo al bando da internet per il diffuso e noioso vezzo di paragonarlo al grassoccio Presidente. Al fastidio per le riflessioni di blogger, intellettuali e Premi Nobel s'accompagna, invece, una smodata attenzione per il proprio personale pensiero. Unico dopo Mao ha preteso che le sue tesi sul «marxismo adattato al modello cinese» diventassero parte della Costituzione, facendosi proclamare presidente e segretario a vita cancellando il limite dei due mandati. Ma quel che più preoccupa il resto del mondo è il continuo riferimento a un misterioso e mai chiarito «sogno cinese». Nel nome di quel «sogno» è nata la Nuova Via della Seta ed è stato dato il via allo sviluppo di una Forza Armata pronta a sfidare anche gli Usa. Una Forza Armata destinata nel Xi pensiero a diventare «potente forza d'élite sempre pronta per la battaglia, capace di combattere e di vincere per adempiere ai compiti conferitegli dal Partito e dalla popolo». E ad aumentare l'apprensione contribuisce il cadavere spolpato di un'Africa strangolata a colpi di debito e trasformata in una sorta di neo-colonia. Una colonia indispensabile non solo per drenare materie prime, ma anche per costruire basi militari come quella da poco inaugurata a Gibuti. Una base da cui Pechino può minacciare quell'imbuto di Suez in cui s'incanala tra il 12 e il 20 per cento dei commerci mondiali.
E ancor di più preoccupano i sette isolotti artificiali e le basi militari create dal nulla per controllare rotte commerciali, diritti di pesca e giacimenti sottomarini del Sud del Pacifico. Perché se i «sogni» di Xi si ampliano il mondo non sembra più in grado di contenerli.
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