Ammucchiata anti Renzi: la sinistra sceglie Pisapia

Vertice fiume tra Mdp e l'ex sindaco. Gli orlandiani tendono la mano: chiedono il premio di coalizione

Ammucchiata anti Renzi: la sinistra sceglie Pisapia

È una tela del ragno, quella che avvolge questo finale di legislatura. Ordito appiccicoso, stucchevole a volte, nel quale tessiture e lacerazioni si susseguono a volte nella stessa giornata. «Inutile prendersi in giro - ragionava il Pd Boccia -, questo Parlamento non è in grado di approvare una nuova legge elettorale. Dopo la legge di Stabilità, prima si vota meglio è per tutti».

La trafila per organizzarsi, d'altronde, è partita da tempo. Ieri la sinistra martoriata dalle divisioni s'è concessa un interminabile incontro di riconciliazione (oltre quattro ore) tra tutti i «big» (tre su una ventina di partecipanti, ma si sa come funzionano questi soviet). In cambio dell'ipocrita ammissione che ci sarà un solo leader, Pisapia, («assolutamente sì», l'ha incoronato Bersani), l'ex sindaco di Milano ha dovuto sorbirsi l'analisi dettagliata di D'Alema su come tessere il mosaico per muovere l'attacco finale a Renzi. «Saremo alternativi al Pd»: coro unanime che si rivolge anche alla Quinta colonna acquartierata dentro il Nazareno e pronta ad aprire le porte agli «invasori» o «liberatori» che siano. «Il Pd non è fatto solo di ultrà renziani - malignavano nello staff di Pisapia -, per esempio Delrio...». Nome non buttato lì a caso, considerata la stima reciproca tra i due. Ma la velenosità sta nell'aver citato un ex «fedelissimo» del Capo, e non i soliti Orlando e Franceschini. D'Alema ha molto insistito sulla «radicalizzazione» dello scontro, a cominciare dalla legge di Stabilità. Pisapia ha accettato di essere un po' più duro con il governo, pur senza arrivare all'uscita dalla maggioranza. «D'altronde - spiegavano - Renzi non ha dato alcun margine sulla contendibilità, sulla coalizione, sul programma. La nostra scelta alla fine era facile, scontata». Dopo le elezioni siciliane, un'Assemblea Costituente metterà in piedi il partito, senza tesseramenti e senza la farsa delle primarie.

Se Atene trama, Sparta cuce e scuce a suo piacimento. È La Russa a dare la fotografia: «Il Pd imbroglia. Ha deciso che alla Camera non vuole andare avanti. Ora stanno decidendo se andare avanti al Senato o affossarla del tutto». Postilla di un esperto di battaglie costituzionali, Alfiero Grandi: «Troppi stanno pensando di andare a votare con le leggi uscite dalle sentenze della Consulta ritenute più convenienti per loro... Del resto, dopo le intese in Sicilia, è evidente che il Pd non regge più la soglia del 5% che era nel testo Fiano e guarda caso nel Consultellum c'è il 3...». La giornata parlamentare si è svolta all'insegna di queste volontà precostituite, sapendo anche che il Quirinale non vuole ulteriormente spendersi per vedersi poi sbugiardare da un Parlamento così irretito. Il Pd, ancora una volta ieri mattina, decideva di fingere una disponibilità di ripresa dei lavori alla Camera (plauso unanime al premio di coalizione avanzato dall'orlandiano Lauricella). A patto, però, che la presidente Boldrini potesse risolvere il problema dei collegi in Trentino-Alto Adige, emendamento votato segretamente dall'aula a giugno. Annullare un voto dell'aula non si può; i funzionari si prodigavano perciò per trovare il modo di far «slittare» il testo al Senato (che può legittimamente cancellare un voto dell'altro ramo).

Altrimenti, la Svp minaccia di uscire dalla maggioranza. Per il Pd un «problema politico» e un limite «invalicabile», si giustificava Fiano. Chiamasi «scusa», ribattevano le opposizioni. Alla capigruppo di oggi l'ultima parola. Biforcuta.

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