Analogia tra Italia e Usa: dem come il campo largo

Gli errori comuni di percezione. Serracchiani: "Hanno fatto di tutto per perdere, sembrano noi"

Analogia tra Italia e Usa: dem come il campo largo

Lo sconforto in cui il successo di The Donald ha precipitato la sinistra di casa nostra è palpabile, palese. Ma ciò che più pesa ai dirigenti del Pd è la sensazione, pensando ai limiti dei democratici d'Oltreoceno, di guardarsi allo specchio. Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd è quasi arrabbiata: «I nostri cugini d'America hanno fatto di tutto per perdere. Hanno impiegato mesi per convincere Biden a tirarsi indietro e poi hanno candidato la Harris, la sua vice, che non ha cambiato la narrazione di una campagna già compromessa. La verità è che non hanno percepito l'umore di un Paese in cui covava ancora la rabbia di Capitol Hill. Sembrano noi».

Già, ritrovi molti dei limiti del Pd tra i democratici americani. E viceversa. C'è, soprattutto, una visione del mondo che spesso fa a pugni con la realtà. Se i cugini al di là dell'Atlantico non parlano con l'America profonda, quelli di casa nostra stentano a varcare le frontiere dello ZTL nelle grandi città. E come potrebbe essere altrimenti: Sala ha allargato i marciapiedi a Milano seguito a ruota da Gualtieri a Roma forse per la gioia dei residenti ma non certo di chi è costretto per lavoro a ficcarsi nel traffico del centro. E chi sono i proprietari dei veicoli Euro 2, Euro 3 o Euro 4 a cui l'amministrazione di sinistra di Roma ha vietato la circolazione nell'area centrale della città? Non certo i figli di papà. Non dico che siano provvedimenti ingiusti ma l'ambientalismo esasperato finisce per rompere il rapporto tra la sinistra e quelli che una volta erano i suoi ceti di riferimento. Lo stesso fenomeno che hanno pagato i democratici in queste elezioni negli Stati Uniti. Anzi in alcuni casi il partito di Biden, e della Harris si è mostrato ben più realista della Schlein o di Fratoianni. Basta pensare all'immigrazione: anche i democratici americani hanno tentato di stringere i cordoni, poi è chiaro che non potevano competere con Donald il rosso che ha promesso di deportare due milioni di immigrati. Ma almeno ci hanno provato e malgrado tutto per paradosso hanno perso voti tra la popolazione di colore e le comunità ispaniche che considerano i clandestini dei pericolosi concorrenti. Da noi, invece, per poche decine di immigrati irregolari che il governo vuole rimpatriare nei loro paesi d'origine via Albania la nostra sinistra ha scatenato il finimondo.

Un altro vizio comune ai democratici d'America e a quelli d'Italia è pensare di poter liquidare l'avversario criminalizzandolo, tirando i ballo il fascismo o usando la via giudiziaria. Ebbene, in dieci giorni la grande illusione è venuta meno (per l'ennesima volta) in Liguria come negli Stati Uniti. Sono surrogati di una tecnica che è stata efficace in passato ma che oggi non funziona perché gli elettori hanno sgamato il gioco, non ci credono più. Come pure quei mondi profondi tartassati dall'inflazione non li raggiungi con il festival degli acronimi: «LGBT»; «LGBTQIA+»;«LGBTQIA2S+»; «QUILTBAG»; «SOGI». Per non parlare della «cultura woke». Ci sono cittadini allergici a simili termini, se li pronunci ti guardano pure male. E, invece, sono diventati i vocaboli più utilizzati da una certa sinistra: in America come da noi. «La sinistra - sintetizza Matteo Renzi - invece di parlare con il ceto medio, parla di diritti». Qualcuno nel Pd dirà che non puoi competere con la destra sui suoi temi, è sbagliato perchè alla fine gli elettori preferiscono sempre l'originale. Vero. Quello però che non puoi proprio fare è non confrontarti con la realtà. E la sensazione che suscitano i democratici sulle due sponde dell'Atlantico è proprio quella di vivere in un mondo parallelo, di immaginare ad esempio che l'appoggio dei personaggi dello star system garantisca di per sé il consenso popolare. Invece in certe realtà non fa simpatia ma addirittura rabbia. «Il problema - spiega sconsolato il piddino Matteo Orfini - è che abbiamo perso l'egemonia culturale. La destra ha imposto la paura verso il futuro e di fronte a questo chi crede nel sol dell'avvenire ha già perso». Un'intuizione che però per alcuni versi è sbagliata: il futuro con cui ti devi confrontare non è quello che desideri, ma è quello che è. La destra lo fa con molto pragmatismo tentando di non perdere la propria identità. La sinistra no. Anzi, quei pochi che usano un metro simile, tentando di affrontare le grandi questioni nella logica di un populismo di sinistra, vedi lo sceriffo- Governatore Vincenzo De Luca, addirittura rischiano di essere eliminati dalla «nouvelle vague» del Pd. Solo che per competere con il linguaggio del populista Trump negli Usa o della Meloni in Italia, devi inventarti qualcuno che sappia parlare li linguaggio del «populismo» di sinistra.

E quello spazio se non ci riuscirà il Pd, proverà a riempirlo Giuseppi Conte (strafelice per il risultato del voto americano) magari accusando i suoi supposti alleati di essere guerrafondai come i cugini d'Oltreoceano. Un'operazione che farà ovviamente sotto le insegne di Donald Trump.

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