Anticomunista e cattolico Perciò la critica lo snobbò

Fu partigiano, ma non «rosso». E così l'intellighenzia italiana malsopportò la sua opera. Adorata all'estero

Anticomunista e cattolico Perciò la critica lo snobbò

Paolo Scotti

Osteggiato, insultato. Sarà il destino dei veri geni; ma com'è possibile che uno dei maestri del nostro '900 sia stato così incompreso proprio dall'intellighenzia del suo Paese? Semplice. «Perché ero anticomunista riassunse tempo fa Zeffirelli al Giornale - E perché credo in Dio».

Coraggioso nel denunciare gli orrori del marxismo; orgoglioso nel proclamare la speranza cristiana. Quanto bastava per aizzare intellettuali ultrasnob e servi sciocchi della dittatura marxista che ingabbiava la cultura nazionale. «I comunisti mi odiavano perché non mi accodavo ci disse il regista - Essere dei loro significava avere vita e carriera protetti. E io l'ho pagata cara. Per questo ho fatto carriera soprattutto all'estero. Contro di me negli anni '70 prepararono perfino un attentato. Doveva sembrare un incidente d'auto. La scampai solo perché un amico mi avvertì in tempo». A dirla oggi, che gli osanna piovono da ogni parte (sinistra compresa), sembra assurdo. «Ma il PCI usava la cultura come strumento di penetrazione delle coscienze - spiegava Zeffirelli - E chi era fuori era ostracizzato». Tanto più assurdo se si pensa che nel 1944 Zeffirelli, spinto dal suo professore Giorgio La Pira, s'era fatto partigiano. «Ma ricorda sempre - l'ammonì il futuro sindaco cattolico di Firenze - che nazisti, fascisti e comunisti sono la stessa cosa». Del che il giovane Franco s'accorse ben presto: «Io li ho visti in azione, i comunisti. Cose atroci». Del conte rosso Luchino Visconti, suo amante e mentore, dirà: «Vegliò la salma di Togliatti, ma i comunisti li detestava anche lui. Solo che non poteva dirlo. Una volta licenziò un domestico solo perché non aveva pettinato a dovere i suoi gatti persiani. Vedrete quando sarete più in là con la storia ripeteva - se Marx aveva ragione o meno. Beh: l'abbiamo visto».

Fu proprio il «clan Visconti» a deprecare i primi passi «non ideologici» del regista («L'altro pupillo di Luchino, Francesco Rosi, firmò il politico Salvatore Giuliano; io il leggero Camping») e a sminuirne i primi successi all'estero. «Luchino mi sconsigliò di fare Romeo e Giulietta all'Old Vic, primo italiano nel tempio di Shakespeare. Io lo feci e il critico dell'Observer scrisse: Uno spettacolo che è una rivoluzione. Disapprovò che facessi Molto rumore per nulla con Maggie Smith, e il critico Simon Callow scrisse: Allestimento di supremo incanto teatrale e di glamour incomparabile». Gelosie e invidie toccarono il colmo quando, dopo i trionfi di Vienna, Berlino, Mosca, San Pietroburgo, Parigi, Zeffirelli portò a Roma La Lupa con Anna Magnani. «Siccome avevo destinato l'anteprima ai giovani, invece che ai critici, questi decisero di boicottare per un anno tutti i miei spettacoli. E mantennero la parola».

Il successo popolare che arriderà ai film d'ispirazione religiosa non farà che gettare benzina sul fuoco. Di Fratello Sole, Sorella Luna lodatissimo dai frati di Assisi - si scrisse che era «inverosimile e fazioso». Il fatto che nel Gesù di Nazareth recitassero le massime star mondiali fu titolo di demerito piuttosto che, come sarebbe logico, di apprezzamento. Ma Zeffirelli sapeva come difendersi. E confermare le sue idee.

Quando nel 1995 la rivista inglese Screen International gli diede del «fascista», la citò per duecentomila sterline di danni. Ne ottenne centomila. E le devolse alle opere caritatevoli del vescovo di Catania, Bommarito.

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