Potrebbe esser stato l'ultimo tango a Parigi del governo in carica, quello andato in scena ieri all'Assemblea nazionale. Al question time, dopo l'annuncio delle due mozioni di sfiducia che si discuteranno dalle 16 di oggi (voto atteso alle 20), il ministro dell'Interno Retailleau ha puntato l'indice sui protagonisti del tiro al bersaglio, disegnando uno scenario cinematografico alla Quentin Tarantino o alla Takeshi Kitano: «Alcuni hanno deciso di affidare il destino della Francia alla roulette russa», il suo attacco alle opposizioni: destra lepenista e Fronte della gauche.
Vero è che i mercati finanziari guardano all'Esagono con preoccupazione. Debito pubblico cresciuto di mille miliardi in 7 anni di era Macron, che dall'Arabia saudita scaccia via anzitutto il fantasma delle sue dimissioni: «Una finzione politica, onorerò fino all'ultimo la fiducia avuta dai francesi». Ma il rischio è di non veder varata quella manovra di tagli alla spesa e tasse all'insù per benestanti e grandi imprese che secondo Barnier permetterebbero di tornare a livelli accettabili per Ue e agenzie di rating.
Da 48 ore siamo alla cronaca di una sfiducia annunciata. Febbrile sessione, ieri in Aula: il premier, al question time e poi in tv, smentisce i rumors sul presunto raffreddamento nelle trattative, accusa rivolta da Le Pen: «Non posso accettare che si dica che non ci sia stato dialogo, la sfiducia renderà tutto più difficile», è la versione di Barnier, che auspica un «riflesso di responsabilità» per evitare il caos rivendicando il no a un «ricatto». Il destino dell'esecutivo e forse della Francia appare però segnato; salvo «miracoli», per usare la frase del lepenista Bardella, secondo cui il voto con la sinistra (vedremo stasera se ciò accadrà davvero) «non è un'alleanza». Nessuno lo ha pensato, ma in un Parlamento dove avversari alle urne governano insieme è bene precisarlo.
Tutto lascia pensare che i partiti più forti vogliano semplicemente infliggere una punizione a un capo dello Stato che ha sfidato il sistema l'estate scorsa per l'ennesima volta: «Nessun rimpianto» per lo scioglimento dell'Assemblée, insiste Macron, da domani probabilmente costretto a un nuovo casting.
In realtà, fonti dell'Eliseo svelano che Macron sonda da giorni i possibili successori di Barnier. Dal centrista Bayrou che ha avuto parole al miele per Le Pen durante il processo che la vede a rischio ineleggibilità (sentenza attesa tra pochi mesi) fino al macroniano Sébastien Lecornu, ministro della Difesa pure lui non inviso ai lepenisti. Insomma il baricentro non sembra spostarsi verso sinistra: anzi Retailleau punta il dito contro l'estrema gauche, chiedendo a Le Pen come possa mescolare la sua voce con chi ha presentato un testo per abrogare il reato di apologia di terrorismo.
Per Macron, l'operazione lepenista è di un «cinismo insostenibile» a cui «non posso credere», ha detto ancora dall'Arabia saudita, accusando però anche il Partito socialista storicamente «di governo» (mai però con lui) di aver perso la bussola seguendo i mélenchoniani. Poi una frase forse rivolta al premier catastrofista: «Non bisogna mettere paura alle persone».
Stando ai sondaggi, in realtà è il presidente a spaventare i francesi: il 52% è per la caduta di un governo nato nel laboratorio dell'Eliseo, con Macron in versione dottor Frankenstein; capace di cucire attorno al suo partito centrista una maggioranza solo relativa eppure ostinatamente in grado di nominare un neogollista come primo ministro. E, infine, di invitare Trump alla riapertura di Notre-Dame. Domenica primo viaggio del presidente eletto dopo il voto Usa.
Su Truth, il social del tycoon, un suo elogio per Macron: «Ha fatto un lavoro meraviglioso facendola tornare al suo pieno livello di gloria e anche di più, sarà un giorno speciale». Nel 2017, dopo la prima vittoria del «presidente dei ricchi», Trump era sulle tribune degli Champs. La banda suonò i Daft Punt. Stavolta, forse, echi di De Profundis.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.