Non è poi così lontana Samarcanda, cantava Roberto Vecchioni una vita fa. Solo che ora non è più il luogo di sogni descritto in quella bella canzone, richiama semmai uno slogan degli anni Sessanta: la Cina è vicina. Perché per Vladimir Putin, messo in difficoltà crescenti dai rovesci nella guerra d'Ucraina, la Cina è vicina davvero nella persona del suo leader Xi Jinping che nell'antica città uzbeca dove si svolge il vertice del «G7 alternativo» anti occidentale denominato Organizzazione della Cooperazione di Shanghai il presidente russo è andato a incontrare con un virtuale, e ben dissimulato, cappello in mano.
Assolutamente bisognoso di sfuggire all'isolamento internazionale conseguente alla sua aggressione a Kiev, Putin ha portato in pegno a Xi il pieno sostegno di Mosca alla sua conferma alla guida della Cina nel prossimo congresso comunista, ma soprattutto la sua promessa di allineamento su Taiwan: «Fermo impegno sul principio dell'Unica Cina e respingimento delle provocazioni americane». Putin sottoscrive la pretesa (antistorica) che Taiwan altro non sia che una provincia ribelle della Repubblica Popolare e lascia ben intendere che appoggerebbe l'invasione dell'isola filoccidentale. Del resto, anche in questi giorni Cina e Russia hanno tenuto insieme importanti manovre militari nell'Estremo Oriente russo.
Ma c'è un problema. Il Putin che ieri ha stretto la mano di Xi è più debole di quello che lo aveva incontrato a Pechino a febbraio subito prima dell'invasione dell'Ucraina. Anche allora avevano inneggiato a un'amicizia «senza limiti» tra i due Paesi, ma oggi la rinnovata sottolineatura della ricerca di un nuovo ordine globale «più giusto e ragionevole» mostra più nettamente l'impronta data dalla leadership cinese. Xi fa capire di voler diventare la guida di uno schieramento mondiale in grado di sfidare l'egemonia americana (nel linguaggio studiato della diplomazia di Pechino, «apportare stabilità ed energia in un mondo caotico»), e in questo disegno che include Iran, l'ambigua India, il Pakistan e diverse Repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale che Pechino contende a Mosca, la Russia è troppo debole economicamente per svolgere un ruolo paritario.
Ieri a Samarcanda, Xi ha dato a Putin il contentino di assicurargli che la Cina «è pronta a lavorare con la Russia come tra grandi potenze», ma i fatti raccontano un'altra verità. Una Russia strangolata dalle sanzioni economiche occidentali e - proprio perché Xi non vuole sfidare quelle sanzioni, non in grado di ottenere il sostegno militare cinese per vincere in Ucraina - si lega mani e piedi a Pechino economicamente in posizione di inferiorità. Al vertice in Uzbekistan, Putin ha ammesso che l'export di gas russo verso l'Europa diminuirà quest'anno di circa 50 miliardi di metri cubi, e ha cercato tramite un comunicato di Gazprom di sostenere che questa perdita viene compensata dall'aumento dell'export di gas verso la Cina. Un aumento record, afferma il comunicato, ma senza fare cifre ed evitando di citare i prezzi di gran favore concessi al più potente alleato.
Il leader russo si è arrampicato sui vetri nel tentativo di non criticare la «posizione bilanciata dei nostri amici cinesi a proposito della crisi ucraina» e di ottenere ugualmente il loro sostegno.
Che però difficilmente arriverà: il Global Times di Pechino, che riflette posizioni governative, ha appena scritto che la Cina ha fin qui evitato di mettersi in una posizione difficile sulla guerra in Ucraina e che gli ultimi sviluppi militari non dovranno cambiare la sua politica estera.
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