«Perché l'Italia non ci ha voluti?», chiede in francese un ragazzo di colore sui vent'anni. Assieme agli altri 629 immigrati, ridistribuiti su altre due navi d'appoggio - oltre all'Aquarius, la fregata militare italiana Orion e la Dattilo della Guardia Costiera - è appena sbarcato all'alba nel porto industriale di Valencia, quello con le petroliere, nascosto dal lato degli yacht.
Un plotone di 2.500 persone li aspettava con apprensione dalla sera prima. È il momento del caldo bienvigut (benvenuti) che la città di Calatrava regala ai rifugiati, in tante lingue, tranne quella dei cattivi: gli italiani senza cuore che, assieme alle autorità di Malta, li hanno respinti dieci giorni prima. «L'Italia non ci ha voluto. Dio sì», dice un altro immigrato, avvolto in una coperta. Viene affidato al suo tutor e traduttore che, dopo le visite mediche, gli spiegherà cosa lo aspetta. Perché secondo le leggi vigenti, che non sono migliori o peggiori delle italiane, potrebbe vedere sfumare il sogno di una vita in Europa ed essere rimpatriato. La Croce Rossa Spagnola si dà da fare perché le operazioni procedano senza intoppi, anche molto lentamente. Centinaia di volontari corrono su e giù dalla nave bianco-rossa. Tutto è sotto l'occhio elettronico delle telecamere di oltre quattrocento tv e seicento giornalisti accreditati per «il padre di tutti gli sbarchi», gli immigrati che nessuno voleva, che fuoriescono dal ventre dell'Aquarius, mentre le altre due navi con gli altri duecento sono in coda, come al casello autostradale.
Dai ponti, nella prima luce del nuovo giorno, si vedono braccia che salutano. Sul molo c'è un drappello di persone che ha passato il sabato sera lì, coi cartelli di benvenuto. E chi ha scritto un pensierino velenoso per il nostro Paese: «L'Italia ingenerosa non vi ha accolto, noi vi abbracciamo tutti». Poi si canta il lennoniano «Give peace a chance».
Sono le otto e il flusso di persone che lascia l'Aquarius continua. Qualcuno sbarca con le dita a «V» alla Churchill, qualcuno canta e balla. Intanto, il notiziario radiofonico di Cadena Ser Valencia dice ciò che nessuno ammette: il 70 per cento dei valenziani non vuole altri immigrati illegali. Perché la Spagna non è mai stata la terra promessa dei sin papeles. È, invece, un inferno con attese lunghissime che si concludono, nove casi su dieci, in amari rimpatri.
Il premier socialista Pedro Sánchez, accogliendoli e restituendo a tutti il diritto universale per la salute, è stato anche fermo nel ricordare che chi non ha «le carte in regola, in Spagna non può restare». Quindi, meglio smorzare subito la festa perché la luce del giorno che inonda Valencia porta già spiacevoli notizie: i minorenni saranno portati a Malaga, le donne in attesa e i malati in un'altra unità, sconosciuta, mentre per gli altri li attende un Cie, centro di identificazione ed espulsione che Amnesty International vuole chiudere.
La Spagna è il paese europeo che dal 2006 attua una severa politica di respingimenti e rimpatri.
Nel 2009, all'apice della peggiore emorragia d'immigrati giunti alle Isole Canarie provenienti dalla zona sub-sahariana, ogni mese i voli charter riportavano in Africa dai 15mila ai 25mila rifiutati. Tanto che in Spagna chi vince l'appalto statale dei rimpatri, vince la lotteria di Natale: un affare da svariati milioni d'euro, pagati da Madrid.
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