Gerusalemme - Ne è passato del tempo da quando Trump, in campagna elettorale, disse che l'Islam era di per sé una religione portatrice di odio e quindi di terrorismo, tanto da dover vietare l'ingresso negli Usa a chi venisse Paesi Islamici. Ieri, a Riad, di fronte a un paludato consesso di una cinquantina di leader musulmani da tutti i Paesi Arabi (di fronte a teste coronate come quella di Abdullah di Giordania, presidenti forti come Al Sisi d'Egitto, deboli come Saad Hariri del Libano, e soprattutto di fronte alla cipigliosa benevolenza del vecchio re Salman) Trump ha appassionatamente dichiarato alleati di primaria importanza i musulmani in una guerra spietata e definitiva contro il terrorismo. Ha usato toni drastici e definitivi: buttateli fuori dalle comunità, dai luoghi di culto, dalla vostra Terra... I musulmani sono le principali vittime, ha detto, di questi mostri «barbari criminali», perseguitati dal terrore estremista come i cristiani e, udite udite, perché mai presidente ha osato denunciarlo davanti a una folla di leader islamici, ebrei. Forse Trump, che è stato accolto con fasto da mille e una notte, in una sala da sogno, con regali e riverenze (per altro ricambiate) non ha resistito come tanti politici speranzosi prima di lui, e non solo americani, alla consueta tentazione di fondare un nuovo Medio Oriente.
Ma il suo discorso, che disegna un passaggio dalla preferenza obamiana per l'Iran a una scelta pragmatica filo sunnita e a una ripetuta messa in guardia della Repubblica Islamica, unita all'esasperazione generale verso il terrorismo, è nuovo: lo è cioè l'idea di fondo di Trump di formare una coalizione moderata capeggiata dall'Arabia Saudita (di cui con un colpo di spugna ha cancellate le violazioni dei diritti umani e i finanziamenti alle madrasse estremiste) ha due grandi garanti. Il primo si chiama convenienza economica, e Trump è specializzato in questo campo: le possibilità di riuscire sono legate agli accordi miliardari firmati per la vendita di armi americane che, come ha detto il presidente, porteranno molti posti di lavoro e ai sauditi porteranno armi micidiali capaci di tenere a bada l'Iran. Trump ha parlato della necessità dei giovani mediorentali di vivere in un universo moderno, ricco, avanzato: dunque, business e pace. Ma il secondo garante della linea Trump è la necessità di contenere l'Iran: non gli ha lesinato critiche e persino minacce, ha parlato di sanzioni e di tagliare le finanze a chiunque ne faccia uso contro la pace e per sostenere il terrorismo, cioè l'Iran; ha ricordato l'intenzione di Teheran distruggere Israele; poi, ha disegnato l'orrore morale di chi sostiene Assad che ha ucciso i suoi cittadini col gas nervino. Insomma l'Iran è uscito dal suo discorso come un nemico che porta instabilità e violenza.
Trump ha anche molto innovato la definizione dei primi nemici da battere aggiungendo all'Isis anche gli Hezbollah e, novità che parifica il terrorismo che Israele subisce a quello del resto del mondo, di Hamas. Trump così facendo ha creato un problema non piccolo per Abu Mazen, che tuttora ambisce a unificarsi con questi fratelli dichiaratamente terroristi.
Trump, nonostante la grande tempesta domestica, ha avuto coraggio, e si è mostrato in ottima forma persino ballando la danza tradizionale dei guerrieri sauditi. Ha anche portato Ivanka e Melania a sventolare le chiome sotto i nasi vetusti dei dignitari sauditi e sotto lo sguardo smaliziato di tutti quei giovani principi palestrati che nella sala tutta scintillante spippolavano i telefonini e ridacchiavano sotto la kefia ben stirata. Questo prima che entrassero il re e il presidente, si capisce.
In generale questo incontro, che ha avuto in comune con quelli di Obama solo la ripetizione del mantra che nessuno si sogna di dettare a quel mondo come deve vivere e in che cosa deve credere, apre davvero se non un'era, un momento nuovo. Naturalmente Trump, in partenza per Israele, ha anche annunciato la sua intenzione di portare la pace fra israeliani e palestinesi. Beh, si dice sempre così. Oggi comincia questo capitolo.
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